Un ampio e variegato dibattito che ha coinvolto un’eterogenea gamma di soggetti: Regioni, farmacie, cooperative, volontariato, associazioni dei cittadini e direttori generali. E non sono mancati i concetti chiave condivisi: reti, integrazione e rimozione delle disparità territoriali.
La definizione di nuovi modelli per l’assistenza territoriale “passa necessariamente per una riqualificazione del ruolo del medico di famiglia, che coinvolga anche una riorganizzazione del percorso formativo”. E’ la rotta tracciata da Luigi Marroni, assessore regionale alla Salute in Toscana, nel corso del workshop “I servizi territoriali in rete vicini al cittadino”. “Il modello che abbiamo adottato nella mia regione – ha aggiunto – è stato incentrato su una riduzione dei posti letto e su una forte valorizzazione del Chronicle Care Model, che ha coinvolto circa il 45-50% dei soggetti eleggibili. Fondamentale poi il ruolo delle Case della Salute, che ci hanno garantito un risparmio sui costi operativi di circa il 2,5% ogni anno. Altri tasselli essenziali sono stati la riorganizzazione delle cure primarie e della medicina generale”.
Necessario quindi ripensare “i modelli di assistenza territoriale, ma l’operazione diventa sterile se non si coinvolgono in maniera costante e organica le associazioni dei cittadini e dei pazienti. E’ da qui che passa il vero cambiamento”, ha ricordato Tonino Aceti, Coordinatore nazionale per i Diritti del Malato di Cittadinanzattiva. Per avviare una trasformazione effettivo e radicale “è però indispensabile aprire una nuova fase di dialogo e confronto che coinvolga pienamente tutti i soggetti in campo – ha sottolineato Giacomo Milillo, segretario generale nazionale Fimmg – Senza una programmazione condivisa è infatti difficile pensare seriamente di cambiare marcia”.
Altro tema nodale “è quello della prevenzione, che può essere implementata in maniera efficace grazie all’impulso degli enti locali – ha ricordato Simona Arletti, presidente dell’associazione CittàSane – E’ importante coinvolgere tutti i soggetti attivi sul territorio e in primis le scuole. La salute è un tema che va assunto da tutte le realtà in modo da creare un circolo virtuoso, e non soltanto dai professioni della sanità”. Altro aspetto nodale in materia di prevenzione “è l’integrazione – ha ragionato Vasco Giannotti, presidente della Fondazione Sicurezza in Sanità – Bisogna infatti mettere a confronto le esperienze delle varie Regioni: dove c’è capacità di misurazione dei dati, si ottengono migliori livelli qualitativi”.
Costruire reti è quindi un passo obbligato e non più rinviabile. “E in questo senso le farmacie possono fungere da perno in quanto rappresentano il primo presidio sul territorio – ha ricordato Annarosa Racca, presidente di Federfarma – E sul tema della prevenzione il contributo dei farmacisti è decisivo, grazie al rapporto fiduciario che si crea col cittadino. Complessivamente il nostro settore è ancora in attesa della convenzione nazionale che manca dal ’98 e di una nuova classificazione dei farmaci”. Anche nel comparto farmaceutico “un consistente salto di qualità piò essere garantito dall’integrazione delle reti informatiche, come dimostra il successo delle ricette dematerializzate in Sicilia – ha segnalato Maurizio Pace, segretario generale Fofi – Auspico che si intraprenda un percorso che ci porti verso maggiori specializzazione, servono infatti elevatissimi valori di qualificazione”.
Le reti sono generatrici “di enormi e indubbi benefici economici – ha evidenziato Angelo Lino Del Favero, presidente di Federsanità Anci – Ma per implementarle è necessario che sul territorio ci siamo una gamma ampia e variegata di strutture ospedaliere. La vera sfida si gioca sul livello organizzativo, che deve riuscire a mettere assieme le reti ospedaliere e le reti territoriali”. E per farlo “è indispensabile costruire processi di democrazie dell’accesso – ha aggiunto Giampiero Maruggi, Direttore generale dell’Azienda ospedaliera San Carlo di Potenza – Puntando in modo convinto sull’umanizzazione delle cure e sulla comunicazione, che possono rappresentare autentici valori di produzione. Il funzionamento delle reti passa soprattutto attraverso la percezione che i cittadini hanno di esse”.
Sono numerose le realtà che forniscono un apporto vitale sul territorio. “Il nostro è un esercito silenzioso, ma laborioso – ha sottolineato Giuseppe Milanese, presidente Confcooperative, Federazione Sanità – Ogni giorno assistiamo milioni di italiani direttamente nelle case e quindi rispondiamo pienamente alle esigenze di territorialità. L’importante però è che tutti i soggetti svestano i panni della corporazione per diventare parte attiva di un sistema. E in un simile contesto, l’importante è misurare sul territorio tutto ciò che avviene. Oculate e precise valutazioni economiche in sanità possono essere la rampa di lancia per creare nuovi posti di lavoro”.
Oltre al tessuto delle cooperative, c’è ovviamente la galassia del volontariato. “La nostra esperienza ci ha insegnato che la priorità deve essere quella di implementare le reti oncologiche territoriali – ha raccontato Elisabetta Iannelli, segretario Favo – Allo stato attuale c’è troppa difformità territoriale, soprattutto per quanto concerne il recupero del malato una volta terminata la fase acuta, quando si tratta di avviare il recupero e il reinserimento sociale. Senza dimenticare che oggi 1 malato oncologico su 3 muore in strutture per acuti e questo è inaccettabile”. La partita si gioca quindi sulla costruzione di una nuova uniformità nazionale, “in particolare a livello di sussidiarietà, che ancora viene declinata in modo diversissimo nelle varie Regioni. E questo va corretto al più presto – ha auspicato Raffaella Pennuti, presidente Fondazione Ant Italia Onlus – Nel complesso credo che ormai vada assimilato un semplice principio: meglio una sanità integrata per tutti, che una sanità pubblica per pochi”. (Fonte: Quotidiano Sanità)