I risultati di uno studio dell’Università Cattolica – Policlinico A. Gemelli e Fatebenefratelli di Roma e Brescia sul ruolo del rame nello sviluppo della malattia pubblicato su “Annals of Neurology”. La prospettiva è ridurre la probabilità di ammalarsi abbassando le concentrazioni di rame nel sangue di soggetti a rischio.
Ricercatori dell’Università Cattolica – Policlinico A. Gemelli di Roma e Ospedale Fatebenefratelli di Roma (Fondazione Fatebenefratelli, AFaR) e Irccs Istituto Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli Brescia, hanno sviluppato e testato con successo un test del sangue per predire il rischio di ammalarsi di Alzheimer misurando le concentrazioni plasmatiche di rame nel sangue di soggetti a rischio. Si tratta di un metodo brevettato, attualmente non disponibile in altri laboratori di analisi perché misura esclusivamente il rame “libero” (non legato a proteine) nel sangue e quindi capace di circolare fino al cervello ed andare a danneggiarlo. L’esame è già disponibile anche presso il Policlinico A. Gemelli.
Questo traguardo è stato ottenuto da una ricerca iniziata presso il Fatebenefratelli, coordinata da Paolo Maria Rossini, ora direttore dell’Istituto di Neurologia del Policlinico A. Gemelli, grazie ad uno studio di cui è responsabile Rosanna Squitti, ricercatrice della Fondazione Fatebenefratelli. Il test è stato convalidato in un lavoro appena pubblicato sulla rivista Annals of Neurology, sperimentandolo su un gruppo di 141 soggetti ad alto rischio di ammalarsi di Alzheimer in quanto già colpiti dal cosiddetto “lieve declino cognitivo” (un disturbo della memoria che può spesso essere l’anticamera dell’Alzheimer). Tutti i soggetti, su cui è stato eseguito il test del rame con un semplice prelievo di sangue, sono stati monitorati mediamente per quattro anni per vedere chi sviluppava la malattia di Alzheimer e chi no. Si noti che l’innovazione di questo test consiste nella possibilità di misurare la quota di rame definito come “rame non-ceruloplasminico”, ovvero che si muove liberamente e raggiunge più facilmente il cervello. Lo studio dimostra che chi ha concentrazioni plasmatiche di rame libero superiori alla soglia massima dei soggetti sani ha un rischio circa triplicato di ammalarsi di Alzheimer, a parità di livello di declino cognitivo presente al momento del prelievo. In altri termini il rischio di sviluppare l’Alzheimer è di circa 3 volte più alto (triplicato) nei soggetti con molto rame “non-ceruloplasminico” nel sangue rispetto a quelli con una concentrazione normale di questo metallo. Il morbo di Alzheimer è la forma più frequente di demenza senile: è una grave malattia neurodegenerativa dalle origini complesse, legata all’accumulo di frammenti di proteina beta-amiloide nel cervello, frammenti che intossicano e uccidono i neuroni in aree chiave per memoria e apprendimento. «Pensiamo che in circa il 60% dei casi di Alzheimer il rame svolga un ruolo significativo nei processi patologici alla base della malattia», afferma Rossini. «Il rame arriva nel cervello e qui potrebbe reagire con i frammenti di beta-amiloide – spiega Squitti – provocando stress ossidativo e rendendo quei frammenti tossici, come già peraltro dimostrato da molti studi su modelli animali». Il prossimo passaggio – e gli scienziati stanno già conducendo questo studio grazie anche a finanziamenti del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) – sarà quello di vedere se, riducendo il rame “non-ceruloplasminico” nel sangue di soggetti a rischio con strategie ad hoc – particolari regimi dietetici e altri interventi – si riduce la loro probabilità di ammalarsi. Lo studio durerà due anni e i primi risultati sono attesi per il 2017. (Fonte: Panorama della Sanità)