Lo rileva un’apposita indagine con riferimento al periodo 2007/2012. Al Nord Italia, dove c’è il maggior numero degli Irccs, va il 63% della ricerca finalizzata e il 72% di quella corrente. L’istituto milanese (ex di Don Verzé) sempre in testa alla classifica dei finanziamenti. (Consulta il RAPPORTO INTEGRALE).
Si sapeva, ma vederlo scritto nero su bianco fa un certo effetto. In Italia la ricerca sanitaria è una storia quasi esclusiva del Nord. A darcene la conferma è un’indagine della Corte dei conti appena resa nota che ci dice come , per quanto concerne la ricerca corrente, il 72% dei finanziamenti và al Nord, il 21% al Centro e il 7% al Sud. E lo stesso, più o meno, per la finalizzata dove il 63% và al Nord, il 32% al Centro, il 4% al Sud. “Nell’indagine sulla ricerca sanitaria pubblica con riferimento al periodo di tempo che va dal 2007 al 2011, con aggiornamento al 2012 – si legge in una nota della Corte dei conti – sono delineati gli elementi essenziali del quadro normativo che regola la materia, si definiscono le due tipologie della ricerca sanitaria pubblica (corrente e finalizzata) e i soggetti che la attuano (gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico – IRCCS), si illustrano i meccanismi selettivi per l’individuazione dei progetti da finanziare, si espongono le risultanze contabili registrate nel periodo, si mettono in evidenza le criticità che il sistema appare presentare, si prospettano possibili ambiti di miglioramento”.
“Nel complesso – prosegue la nota – si può affermare che nel sistema della ricerca sanitaria finanziata con risorse pubbliche vi è la consapevolezza della necessità di individuare processi di selezione che siano trasparenti (obiettività e terzietà delle selezioni), tempestivi (durata minima del processo valutativo), congrui rispetto ai bisogni di progressi scientifici nell’area clinico-medicale (concentrazione delle risorse sui temi prioritari individuati dal Piano sanitario nazionale e dal Piano nazionale della ricerca)”.
“Per quanto concerne questi tre obiettivi – sottolinea la Corte – va detto che quello della trasparenza sia in buona misura conseguito, l’obiettivo della tempestività sembra invece necessitare della predisposizione di incisivi meccanismi di accelerazione; per quanto riguarda il terzo obiettivo, si può prudentemente sostenere che gli indirizzi delle direttive ministeriali siano in buona misura rispettati”.
“L’analisi – prosegue la Corte – ha fatto emergere profili di rilevante concentrazione, in primo luogo geografica, poiché il numero maggiore di IRCCS si addensa nelle sole regioni della Lombardia e del Lazio, poi di concentrazione della maggior parte delle risorse finanziarie su pochissimi IRCCS ed in particolare su uno, l’Istituto San Raffaele di Milano; anche il rapporto di distribuzione delle risorse tra IRCCS pubblici e privati è in misura rilevante a favore di questi ultimi, poiché tali risorse vanno per 2/3 ai privati e per 1/3 ai pubblici; un ulteriore fenomeno di concentrazione riguarda invece le discipline trattate dall’insieme dei progetti finanziati: infatti, per la ricerca corrente, all’oncologia va il 28% dei finanziamenti e alle neuroscienze il 22%, mentre nella finalizzata, il 30% dei finanziamenti va alle neuroscienze e il 20% all’oncologia; del resto, tale ultimo fenomeno può essere almeno in parte motivato con le indicazioni stesse del Piano sanitario nazionale e delle direttive ministeriali”.
“Per quanto concerne la gestione delle risorse – spiega ancora la nota – la complessa procedura che presiede alla assegnazione dei finanziamenti, specie nella ricerca finalizzata, genera una evidente criticità nei tempi di erogazione: nel periodo 2007-2011 i residui sono costantemente intorno ai 160 milioni, rispetto a stanziamenti di competenza che negli anni oscillano tra i 117 e i 53 milioni di euro, denotando la tendenza dell’amministrazione a riportare all’esercizio successivo la competenza stessa”.
“A tal riguardo – aggiunge ancora la Corte – l’Amministrazione ha rappresentato la circostanza che per altri comparti il legislatore ha previsto specifiche deroghe ai generali termini di perenzione, le quali potrebbero essere considerate anche nell’ambito della ricerca sanitaria”.
Anche i tempi necessari per completare le procedure di verifica dei risultati – secondo quanto emerge dal riscontro a campione sui progetti della ricerca finalizzata – appaiono per la Corte meritevoli di ulteriori ridimensionamenti.
“Per quanto attiene in particolare la verifica del completamento dei progetti di ricerca – conclude la Corte dei conti – è emerso che il Ministero compie periodici riscontri sullo stato di avanzamento dei progetti, cui è collegata l’erogazione delle tranches di finanziamento. In merito al riscontro degli “impatti” dei progetti, è particolarmente avvertita l’esigenza di predisporre strumenti di analisi innovativi, non solo per individuare le ricadute cliniche dei progetti medesimi, ma soprattutto per verificare l’accoglienza della comunità scientifica riservata ai risultati, sebbene i tempi di realizzazione di tali strumenti risultino in ogni caso particolarmente ampi”.
Le considerazioni finali e le raccomandazioni della Corte dei conti
Considerata la limitatezza delle risorse disponibili per la ricerca, occorre evitare la loro dispersione, favorendo invece la aggregazione e la cooperazione tra soggetti istituzionali anche a livello sovranazionale; di questa esigenza il Ministero appare consapevole e del resto in questa direzione si muove Horizon 20/20, Programma-quadro europeo per la ricerca e l’innovazione, dove è disegnato nitidamente il ruolo strategico della ricerca quale strumento di sviluppo economico e sociale, attuato secondo modelli di cooperazione e di integrazione.
Con riferimento alla tempistica, l’analisi ha rilevato tempi eccessivamente lunghi tra l’avvio delle procedure e la pubblicazione dei bandi (oltre 12 mesi); così pure sarebbe necessaria una ragionevole riduzione dei tempi della valutazione riservata ai referees (6/9 mesi). Infine, non si può non rilevare che i termini di perenzione in questo contesto peculiare non appaiono congrui con i tempi di completamento dei progetti, laddove per altri comparti il legislatore ha disposto specifiche deroghe che potrebbero essere valutate anche in questa fattispecie.
Proprio perché le risorse disponibili per la ricerca sono limitate, occorre avere bene a mente i rischi che vanno assolutamente evitati: quello di disperdere tali risorse in troppi progetti slegati gli uni dagli altri, fallendo l’obiettivo di creare una “massa critica” adeguata; quello di non adeguare alle esigenze di avanzamento biomedicale del Servizio Sanitario Nazionale i contenuti dei singoli progetti; quello di gestire in modo inefficiente le risorse, ricorrendo per esempio a procedure di valutazione dei progetti che producono ritardi eccessivi.
E’ necessario quindi: concentrare per quanto possibile l’impiego delle risorse secondo principi di priorità, per ottenere adeguate “masse critiche” per ciascuna disciplina; enfatizzare la ricerca della congruità dei contenuti dei progetti con gli obiettivi del PSN; garantire una gestione efficiente delle risorse assicurando puntualità, speditezza e certezza dei finanziamenti.
Allo stesso tempo, andrebbe perseguito l’obiettivo di mantenere, pur nel rispetto delle priorità indicate dal Piano sanitario nazionale e dalle direttive ministeriali, una migliore ponderazione tra le varie discipline, sia per la ricerca corrente che per la finalizzata, così come di garantire una distribuzione meno squilibrata tra i vari territori regionali.
E’ ovvio che, essendosi adottati criteri di selezione pressoché oggettivi, a garanzia della trasparenza delle procedure, si finisce per privilegiare gli Istituti economicamente e scientificamente più “forti” che finiranno per diventarlo ancora di più a scapito dei più “deboli”.
Si potrebbe forse ovviare conferendo ulteriori funzioni riequilibratrici, sempre nel massimo di trasparenza possibile, alla CNRS, con il compito di garantire, entro limiti attentamente predeterminati, un accesso più equilibrato alle risorse per tutti i soggetti del sistema.
Peculiare punto di criticità riguarda, per la ricerca finalizzata, la lunghezza dei tempi che intercorrono dalla pubblicazione dei bandi alla fase di effettivo finanziamento dei programmi e che si riverbera contabilmente nella formazione di residui passivi che vanno decisamente ridimensionati.
In ogni caso l’Amministrazione a tale riguardo ha rappresentato la circostanza che per altri comparti il legislatore ha previsto specifiche deroghe ai generali termini di perenzione, le quali potrebbero essere considerate anche nell’ambito della ricerca sanitaria.
Si è già rilevato (cfr. pag. 31) che nel periodo considerato l’importo dei residui totali oscilla intorno ai 160 milioni per anno. In realtà, salvo l’ovvia necessità di più puntuali approfondimenti e l’oggettiva presenza di numerose fasi procedurali, appare assai ampio l’intervallo che trascorre tra l’avvio delle procedure e la pubblicazione dei bandi (oltre 12 mesi), così come si potrebbe lavorare su una ragionevole riduzione dei tempi della valutazione riservata ai referees (attualmente 6/9 mesi) e su uno snellimento dei tempi richiesti per le valutazioni finali da parte del Ministero.
Da ultimo, non appaiono ancora del tutto ben definite le procedure che consentano la valutazione scientifica dei risultati dei programmi di ricerca, soprattutto per quanto concerne le ricadute cliniche di tali programmi e l’accoglienza che la comunità scientifica riserva loro; infatti il ricorso al cosiddetto Citation Index (vedi paragrafo 5) presenta tempi di realizzazione estremamente prolungati (fino a dieci anni). (Fonte: Quotidiano Sanità)