Il presidente della XII Commissione della Camera lancia l’allarme in vista del prossimo Patto per la Salute. E lo fa in occasione di questa nostra intervsita a 12 mesi esatti dalla sua nomina. E poi un obiettivo tra tutti: “Mi piacerebbe contribuire a disinnescare la bomba ad orologeria della medicina difensiva”.
E’ passato un anno dalla nomina di Pierpaolo Vargiu (SC) alla presidenza della commissione Affari Sociali della Camera. In questi dodici mesi, che hanno visto l’avvicendamento al governo tra Letta e Renzi, sono passati molti provvedimenti all’esame della XII commissione di Montecitorio: dal rischio clinico alla medicina difensiva, dalle droghe al gioco d’azzardo. Abbiamo così deciso di fare insieme al presidente Vargiu un primo bilancio di questo anno di attività in commissione.
Onorevole, è passato un anno dalla sua nomina alla presidenza della commissione Affari Sociali della Camera, ci potrebbe fare un primo bilancio di questi 12 mesi?
Nessun trionfalismo. I problemi della sanità italiana sono sotto gli occhi di tutti, i meccanismi di lavoro delle commissioni parlamentari sono spesso farraginosi e lenti rispetto alla velocità con cui si dovrebbero dare risposte. Credo però che la Commissione non sia stata distratta, né disorientata: i temi della sostenibilità economica e di appropriatezza del welfare sanitario e quelli del rischio clinico e della cosiddetta medicina difensiva, su cui stiamo lavorando, sono tra le principali emergenze reali del sistema. Anche sulle problematiche più specifiche, dal gioco d’azzardo patologico, alle droghe, all’uso off label dei farmaci, abbiamo messo e stiamo mettendo il massimo impegno. Sulla vicenda Stamina, abbiamo avuto equilibrio e capacità d’ascolto che si sono tradotti in uno dei rari voti unanimi della Camera.
Si è pentito di qualche iniziativa che poteva essere intrapresa in modo diverso?
No, non ho pentimenti: da cattolico, considero il pentimento figlio della colpa: nei lavori della nostra commissione non è mai mancato l’impegno, né la determinazione e la buona volontà. Ho però piena consapevolezza che si può e si deve sempre fare meglio e che, in questo momento, la politica ha il dovere di usare tutta la capacità di cui dispone per fare non solo l’ordinario, ma anche e sopratutto ‘gli straordinari’. La salute è un bene speciale, sia per i pazienti, che per gli operatori impegnati in sanità. Deve esserlo anche per la politica.
Com’è il clima all’interno della commissione, rispecchia la spaccatura che emerge in qualsiasi trasmissione di informazione politica tra maggioranza, M5S e FI, oppure la sanità riesce a unire?
Nella nostra commissione si discutono posizioni diverse, spesso in modo appassionato. Qualche volta si litiga. Mi sembra che, per fortuna, ci manchi uno dei cancri della politica: il pregiudizio che impedisce qualsiasi confronto vero. E’ un valore aggiunto importante che ci può aiutare ad essere ancora più utili nella soluzione dei problemi reali.
Quali sono le priorità per il prossimo futuro, e qual è la cosa più urgente che le piacerebbe portare a casa?
Mi piacerebbe contribuire a disinnescare la bomba ad orologeria della medicina difensiva. Che ogni anno sottrae miliardi di euro alla ‘buona medicina’, togliendo risorse al malato e alle cure vere e rischiando di far saltare quell’alleanza terapeutica tra il sanitario e il paziente che e’ invece fondamentale per garantire la migliore tutela della salute.
In diverse occasioni avete chiesto di coinvolgere il Parlamento nel Patto salute, al momento pare che siamo al rush finale, ma non sembra ci sia stato un vostro coinvolgimento. Cosa ne pensa?
Che il Patto della Salute avrà vita difficile sino a quando la politica non avrà il coraggio di ammettere che i problemi del sistema non sono soltanto di governance, ma anche di finanziamento. E magari anche che i ventuno sistemi sanitari regionali hanno sostanzialmente già sepolto i principi dell’universalità degli accessi e dell’equità delle prestazioni. Personalmente, mi iscrivo provocatoriamente al partito dei catastrofisti: se restiamo prigionieri di steccati ideologici e non riflettiamo su tutte le possibili modifiche del titolo quinto e del finanziamento dei nuovi bisogni di sanità rischiamo in pochi anni di assistere al crollo del sistema italiano. E, se la sanità italiana crollasse, nessuno potrebbe negare di avere sentito gli attuali, inquietanti scricchiolii. E’ per questo che sono convinto che la politica abbia il dovere di agire subito, prima del disastro, senza cedere alla comoda tentazione di nascondere la polvere sotto il tappeto. (Fonte: Quotidiano Sanità)