Il burnout è un rischio concreto per i medici americani e in particolare per gli specialisti della medicina del dolore: lo segnala un’indagine presentata al 33esimo meeting annuale della American pain society (Aps). «Trattare il dolore cronico è effettivamente molto stressante» conferma Furio Zucco, specialista in terapia del dolore e presidente dell’associazione di volontariato Presenza amica «perché spesso si tratta di “sposare” il malato e la sua famiglia. Tuttavia l’indagine riflette una situazione organizzativa della rete assistenziale molto lontana dalla nostra». I ricercatori americani, infatti, puntano il dito sulla sistematica tendenza dei medici di medicina generale di delegare le terapie del dolore agli specialisti, che subiscono in tal modo carichi di lavoro eccessivi. «Negli Stati Uniti» conferma Zucco «il general practitioner è abituato, in tutti i settori, ad avvalersi molto spesso dello specialista. In Italia invece, specialmente negli ultimi anni, c’è la tendenza dei medici di famiglia a prendere sempre più frequentemente in carico i malati affetti da dolore cronico, lavorando in sinergia con i centri di terapia del dolore, come tra l’altro è stabilito dalla legge 38 del 2010 e dai decreti applicativi. Un’ intesa della conferenza Stato-Regioni del 2010 ha delineato la rete della terapia del dolore in cui al primo livello c’è proprio il medico di medicina generale». Anche se la legge 38 è stata da molti ritenuta una vera e propria rivoluzione, ancora molto resta da fare. «Miglioramenti notevoli si sono avuti soprattutto nell’ambito delle cure palliative, la cui rete sul territorio è sufficientemente avanzata» distingue Zucco «mentre nella rete della terapia del dolore c’è un work in progress e la realizzazione sul territorio dei centri di terapia del dolore specialistici di primo e secondo livello (gli hub e gli spoke) è ancora largamente da sviluppare. Molti medici di medicina generale non hanno ancora nel proprio territorio un centro di terapia del dolore di riferimento». (Doctor News)