Rivedere il Titolo V rafforzando il ruolo dello Stato centrale. Rafforzare la sanità territoriale per farsi trovare pronti alla sfida della ‘cronicità’ e risparmiare risorse. Adottare un sistema di ticket a franchigia e incentivare la sanità integrativa. Questi i punti nodali del documento che verrà discusso e approvato entro fine mese. Ecco IL DOCUMENTO.
Rafforzare il ruolo dello Stato centrale per garantire un’erogazione dei Lea omogenea su tutto il territorio nazionale, lasciando alle Regioni esclusivamente un ruolo di enti erogatori. Superare l’attuale visione ospedalocentrica in favore di un rafforzamento della rete territoriale che ci faccia trovare pronti alla sfida della cronicità, liberando i nosocomi di quel carico accessorio che, spesso in modo inappropriato, ne impegna le strutture in un’attività a prevalente vocazione ambulatoriale. Istituire meccanismi che premino le Regioni e le Aziende virtuose. Puntare forte su fondi integrativi e polizze assicurative, con più defiscalizzazione. Al posto dei ticket, adottare un nuovo sistema con la fissazione di una franchigia, calcolata in percentuale del reddito. Questi i punti principali del documento redatto dalle commissioni Bilancio e Affari Sociali della Camera a seguito dell’indagine conoscitiva sulla sostenibilità del Ssn. Il documento, non ancora definitivo, traccia le linee principali di ciò che verrà discusso e approvato entro la fine del mese.
Vediamo cosa dice nel dettaglio l’indagine.
Si spiega come sia emerso innanzitutto un quadro del sistema sanitario italiano caratterizzato da luci e ombre. Tra gli aspetti positivi, da parte della quasi totalità degli auditi, del valore insostituibile del Servizio sanitario nazionale, quale strumento indispensabile per la tutela della salute, dall’altro, il fatto che gli oneri derivanti dal sistema sanitario non sono superiori a quelli di altri Paesi, ma anzi si collocano al di sotto della media internazionale e europea. Tra gli aspetti negativi segnalati, invece, in primo luogo la preoccupazione che il protrarsi della crisi finanziaria e la conseguente sensibile riduzione dei finanziamenti destinati al Ssn riducano la qualità dei servizi e la loro capacità di rispondere ai bisogni sanitari della popolazione, in secondo luogo il forte gap esistente tra Regioni in Piano di rientro e non, ma anche più in generale tra le Regioni meridionali e il resto del Paese, visti i sensibili ritardi infrastrutturali da cui derivano inaccettabili differenze nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, che mettono a rischio l’universalità del sistema.
In tal senso, in tema di riparto costituzionale delle competenze tra lo Stato e le Regioni, “è sembrata necessaria un’azione di coordinamento a livello centrale più forte e mirata di quella prevista e attuata con la riforma del Titolo V, idonea a garantire un’erogazione dei Lea omogenea su tutto il territorio nazionale, in modo da eliminare le differenze regionali e infraregionali attualmente esistenti”.
Dato questo quadro, nel documento si ipotizza un nuovo modello di governance che rafforzi a livello centrale i poteri di definizione degli standard, controllo e intervento, rispetto alle Regioni cui spetterebbe esclusivamente un ruolo di enti erogatori. Sempre allo Stato centrale spetterebbe la valutazione dell’efficace erogazione dei Lea che “dovrebbe pesare quanto quella relativa alla correttezza dei bilanci economici”.
Si prospetta quindi la possibilità introdurre un modello di governance in cui la regolamentazione svolta a livello centrale in termini di definizione degli standard, controllo e poteri di intervento e rettifica sia nettamente distinta dall’erogazione delle prestazioni. In tale modello, le Regioni dovrebbero assumere il ruolo di enti erogatori, con un minore grado di responsabilità decisionale rispetto a quello attuale, mentre a livello centrale dovrebbe essere effettuata la valutazione dell’efficace erogazione dei Lea che dovrebbe pesare quanto quella relativa alla correttezza dei bilanci economici. In altri termini, il ruolo di supervisore della spesa sanitaria svolto dal Ministero dell’economia e delle finanze, soprattutto nei confronti delle regioni sottoposte a piani di rientro, dovrebbe essere bilanciato da un analogo ruolo di valutazione, di indirizzo e, in caso di necessità, sostitutivo, svolto dal Ministero della salute, a tutela dell’effettivo rispetto dei livelli essenziali di assistenza.
Per quanto poi concerne l’organizzazione territoriale del Servizio sanitario, si spiega come l’assistenza di domani non può essere più progettata per una popolazione di “pazienti acuti”, ma sempre più dovrà prestare attenzione all’attività di presa in carico nel territorio del “paziente cronico”. Ne deriva l’urgenza del superamento delle logiche ospedalo-centriche a favore della domiciliarizzazione di strutture intermedie, vale a dire luoghi socio-sanitari di prossimità dotate di una piccola equipe multiprofessionale, che consenta all’ospedale di divenire il luogo dell’intensività assistenziale, e non più, come spesso avviene ora, la struttura di intervento generalista. Si tratta di un’evoluzione che, per un verso, sembra consentire, nel medio termine, un più efficiente utilizzo delle risorse finanziarie disponibili, ma che nell’immediato richiede un investimento di adeguate risorse finanziarie. Proprio per questo motivo – si sueggerisce nel documento – si potrebbe, ad esempio, trarre risorse dalla razionalizzazione-riduzione della spesa ospedaliera, da investire contestualmente nello sviluppo della rete territoriale. Anche la presenza di una rete territoriale di strutture accreditate ben funzionante, “aiuterebbe le strutture ospedaliere a concentrare la propria offerta nelle prestazioni ad alta complessità, liberandole di quel carico accessorio che, spesso in modo inappropriato, ne impegna le strutture in un’attività a prevalente vocazione ambulatoriale”.
L’effettiva realizzazione di un sistema integrato ospedale-territorio, diffuso uniformemente su tutto il territorio nazionale, potrebbe rappresentare una “condizione indispensabile per la riorganizzazione di importanti funzioni sanitarie con rilevanti riduzioni di spesa”.
Non mancano meccanismi premiali per chi lavora bene. La finalità da perseguire – si scrive infatti – è, in sostanza, quella di ristabilire un meccanismo che premi le Aziende virtuose e stigmatizzi i comportamenti non corretti o comunque inefficienti. “E’ quindi necessario premiare la qualità, applicando regole che valorizzino i sistemi sanitari regionali, le aziende sanitarie e ospedaliere e gli operatori, anche privati, migliori, promuovendo una virtuosa competizione fra erogatori che induca gli stessi – sia pubblici che privati – ad adeguarsi ai più rigorosi standard di qualità”.
Viene toccato anche il sistema dei “costi standard” e delle “regioni benchmark”. Qui si spiega che tale sistema potrebbe essere assolutamente virtuoso in linea di principio, ma contestualmente “rischia di restare in larga misura una mera enunciazione se non sarà integrato con la definizione di indicatori appropriati, specifici e coerenti con l’obiettivo di consentire la crescita del livello assistenziale medio delle regioni a maggior svantaggio strutturale”.
Nel testo si segnala poi come l’assenza dei Liveas (livelli essenziali di assistenza socio-assistenziale) rappresenti una mancanza importante ai fini di una completa integrazione socio-sanitaria delle prestazioni nei territori e per una più puntuale definizione e ripartizione dei costi tra sanità e sociale. In questo quadro si colloca anche il tema del finanziamento della non autosufficienza che, attualmente, in mancanza di un quadro normativo dedicato, risulta frammentato su diversi livelli di Governo.
Viene inoltre indicato come l’efficienza del sistema sanitario potrebbe essere altresì incrementata anche attraverso maggiori investimenti in prevenzione primaria e in politiche, anche non strettamente sanitarie, in grado di diffondere corretti stili di vita.
Nel corso dell’indagine conoscitiva è stato riscontrato come l’innalzamento dei ticket sulla specialistica piuttosto che ridurre il numero delle prestazioni le abbia invece trasferite sul settore privato, posto che la compartecipazione per alcune prestazioni è risultata addirittura più onerosa del loro stesso prezzo, facendo così venir meno il gettito atteso. Al fine di risolvere tale problema, è stata quindi proposta la fissazione di una franchigia, calcolata in percentuale del reddito, fino al concorrere della quale si dovrà pagare interamente secondo le attuali tariffe ogni prestazione sanitaria fruita nel corso dell’anno; tale franchigia potrebbe anche essere progressiva, gravando di meno sui redditi bassi e di più su quelli elevati. Superata la franchigia le prestazioni sarebbero invece gratuite. In tal modo verrebbe conservato un sistema di co-payment in grado di tutelare l’appropriatezza delle prestazioni sanitarie, senza determinare alcun limite agli accessi più costosi o più frequenti. La corretta determinazione del redditto potrebbe essere effettuata applicando il sistema Isee. Infine, si punta ad incentivare i fondi integrativi e le polizze assicurative, attraverso una maggiore defiscalizzazione. (Fonte: Quotidiano Sanità)