Difende il nuovo Codice a spada tratta, anche perché questo è davvero il “suo” Codice. Quello che ha strenuamente voluto e difeso nei due anni di dibattito e nelle ultime 16 ore di maratona che il 18 maggio hanno portato a Torino a un’approvazione non priva di fronda interna (VEDI). Amedeo Bianco ha più di un’argomentazione per giustificare il cambio di passo che – come ribadisce in questa intervista – era necessario rispetto alla versione 2006 del testo, varata quando era già lui a presiedere la Fnomceo.
Il 2006 non è poi così lontano eppure avete deciso di metter mano al Codice fino a ieri in vigore. Perché?
I grandi cambiamenti intervenuti in questi anni non sono certo trascorsi senza lasciare il segno: il Codice 2006 era datato su più fronti. Penso, sul piano operativo, ai rilievi con cui la Cassazione ci aveva invitato, ai fini della sanzione disciplinare, a una più puntuale valutazione anche dei comportamenti assunti dai colleghi al di fuori dell’attività professionale, ma che comunque abbiano una connessione con la sfera di attività del medico. Penso, ancora, alla valutazione disciplinare dei periti, che il testo votato a Torino tratta adeguandosi, anche in questo caso, all’orientamento della Cassazione secondo cui il medico che svolge funzione peritale è comunque sottoposto a sanzione disciplinare dell’Ordine, ferma restando la valutazione penale in capo al giudice. Penso, infine, alla novità introdotta con la legge Turco-Fazio sulle cure compassionevoli e rispetto alla quale il Codice era rimasto indietro e ha dovuto adeguarsi: all’articolo 13 infatti la versione 2006 autorizzava la prescrizione soltanto di farmaci con documentate prove di efficacia.
Questo, per quanto riguarda il restyling. Il nuovo testo introduce poi 4 articoli nuovi di zecca in più
Certamente e anche questo dà il segno di quanto fosse necessario ripensare la nostra deontologia. Tutto l’ampio tema dell’Ict necessitava una puntualizzazione: il nostro intento non era certo negare la portata enorme del cambiamento e delle potenzialità introdotte con l’Information communication technology, ma piuttosto puntualizzare quegli aspetti di valore deontologico che devono accompagnarla. Perché è innegabile che l’Ict si presta, potenzialmente, all’estraneità del rapporto medico-paziente, che pone problemi di utilizzo e di impiego delle informazioni e di trasmissione tra banche dati differenti. Serviva mandare un “warning”, affinché la relazione medico-paziente rimanga caratterizzata dall’incontro e non avvenga via file. Era doveroso dare indicazioni stringenti e anche per questo è stato previsto un allegato tecnico, che approveremo insieme agli altri a Bari, a metà giugno.
Altro tema forte è quello della ricerca e della sperimentazione, anche su animali. La sintesi, anch’essa espressa nel dettaglio in uno degli allegati al Codice, è letteralmente il portato di anni di confronto e di discussione sul significato e i limiti, sui meccanismi e le modalità del fare ricerca. Perché è ovvio che linee guida e raccomandazioni sono necessarie ma non sufficienti: cioè non esimono mai il medico dal soprassedere alla propria responsabilità nei confronti del singolo paziente, pure se inserito in un protocollo sperimentale. Del resto, la rivalutazione dell’esclusività e dell’unicità del paziente, inteso come co-protagonista della relazione terapeutica, è la cifra che caratterizza tutto il nuovo Codice.
Quanto la crisi economica e l’incertezza che ha determinato hanno influito sulle scelte riprodotte nel nuovo testo?
La crisi è stata sempre presente in questi due anni di apertura e confronto con centinaia di persone. Questa revisione è anche il prodotto del contesto difficilissimo della crisi di sistema che stiamo vivendo, che inevitabilmente comporta un rischio di dissolvimento dei valori fondanti, anche della nostra professione. Dovevamo scegliere tra un Codice ripiegato su se stesso e un Codice “d’attacco”, che partendo dalla crisi valorizzasse l’obiettivo per cui è pensato, cioè esaltare il significato etico e sociale della scelta di fare il medico. Ha prevalso la seconda opzione e questo è evidente, per restare su un tema che ha un forte aggancio con la crisi, nel nuovo articolo sulle relazioni tra medico e organizzazioni sanitarie e con l’ordinamento stesso. Il Codice ribadisce con chiarezza che mai il camice bianco può essere piegato a scelte meramente economicistiche.
Il cuore oltre l’ostacolo, quindi… Eppure come ben sa la fronda non è mancata e non mancherà di farsi sentire….
Resta il dato di fatto che molti tra gli articoli più dibattuti sono poi stati approvati con il 98% dei voti e che l’88% dei presidenti, in definitiva, ha detto sì al nuovo Codice. Le critiche sono essenzialmente spaccate tra chi afferma che sarebbe stato meglio “non muoversi” dalla versione precedente e chi, al contrario, considera questa ultima ancora poco coraggiosa e innovativa. Io dico che, dato il contesto in cui abbiamo lavorato e da cui mai si può prescindere, questo testo è probabilmente il migliore che potessimo portare a casa. Certo è che sui giudizi pesano anche i vissuti professionali e di comunità dei singoli colleghi, ma vorrei ricordare che il nuovo Codice non nasce dal nulla: è frutto di un lavoro propedeutico portato avanti in tantissime occasioni di incontro a livello locale.
Non sono mancati appunti anche sul nuovo lessico bioetico…
Sulla bioetica le argomentazioni sono curiose: chi ci dice, da un lato, di essere troppo ripiegati sulla legislazione; chi ci accusa, dall’altro, di voler anticipare le leggi. Anche qui, ciò che ha prevalso è la valorizzazione dell’atto medico e del rapporto con il paziente. Ricordo che se nel 2006 sul fine vita il Codice prevedeva «direttive anticipate» – e una direttiva “si esegue” – noi oggi abbiamo optato per «dichiarazioni anticipate», definendo semplicemente quella struttura che come tale può consentire al medico che riceve la dichiarazione di tenerne conto, ove sia stata concordata dal paziente, quando era ancora nelle sue piene facoltà, con un collega. Quanto al rapporto con le leggi, continuiamo a propugnare quel diritto mite che si limiti a dettare solo i principi generali, nella consapevolezza che le decisioni bioetiche vadano poi sempre strutturate e contestualizzate all’interno della relazione terapeutica.
Nel corso del workshop organizzato a Torino durante l’approvazione del Codice sono intervenuti suoi colleghi parlamentari. L’esperienza di senatore ha inciso nella sua scelta di innovare il Codice?
Il percorso di revisione era partito ben prima della mia elezione al Senato. In ogni caso, credo sia vero il contrario: come presidente della Fnomceo penso di aver fornito utili spunti di riflessione, portando le istanze più forti della professione. Senz’altro la priorità assoluta resta la questione della responsabilità professionale, che richiede una risposta immediata ed efficace della politica ai professionisti, oggi in condizioni drammatiche. In questa direzione, ma in seconda battuta, vi è poi la riforma degli ordini professionali. La responsabilità, però, resta il tema clou.
Tanto che lo avete inserito anche nel Codice
Dove abbiamo recepito quanto previsto dalle ultime due leggi finanziarie, che ci chiedevano di inserire l’obbligo di copertura assicurativa nel nostro ordinamento. E il nostro ordinamento, ricordiamolo, è il Codice. Vorrei però ricordare che abbiamo previsto l’obbligo di polizza soltanto per i liberi professionisti, per la responsabilità civile verso terzi. Con ciò, sgomberando il campo da un equivoco corrente: nel caso di lavoratori dipendenti, la responsabilità civile verso terzi è a carico delle strutture, ferma restando la possibilità che queste hanno di muovere azioni di rivalsa sui dipendenti stessi.
Sulla medicina potenziativa avete scelto, tra le due, la versione dell’articolo che poneva meno paletti…
Questo non è un Codice oscurantista, ma guarda anzi all’innovazione con grande apertura, sforzandosi però di mantenere fermi i principi di beneficialità, equità nell’accesso alle cure, giustizia, rispetto dell’autonomia del medico e della persona assistita.
Già, la “persona assistita” è stato un suo cavallo di battaglia…
Infatti. Alla fine, poiché anche il lessico ha un suo profondo significato, abbiamo scelto di valorizzare il significato della moderna medicina, che non si limita a curare ma a mantenere o a perseguire lo stato di benessere. È un cambio di paradigma, dalla malattia alla salute, che andava recepito. Il lessico pesa – e molto – anche sulla scelta di eliminare i termini eutanasia ed eugenetica: letteralmente il prefisso “eu” taglia fuori tutte le attività dei colleghi impegnati, ad esempio, nelle cure palliative, nelle terapie del dolore o nelle azioni quotidiane di sollievo dalla sofferenza: forse che tutti loro non si adoperano per la “buona morte”? Anche se i principi restano gli stessi, agire sulle parole è comunque importante: una volta tanto, non ci adeguiamo ma siamo fautori del cambiamento. Anche, ma certo non solo, a partire dal lessico. (Fonte: Il Sole24Ore Sanità)