Aumentano gli accessi alla facoltà (10.000 negli ultimi anni, contro i 7400 del 2007), mentre diminuiscono i contratti per specializzarsi: dai 4.500 dello scorso anno accademico si passerà ai 3.500 previsti per il prossimo anno.
“I o speriamo che me la cavo”. Sarà così anche per gli studenti di medicina? Il titolo del libro scritto dal maestro elementare Marcello D’Orta negli anni Novanta sembra proprio calzare a pennello. Dopo anni di studio, lunghe giornate di corsi obbligatori e tirocini serali, il futuro dei neolaureati è ancora molto incerto. Sì perché il passo successivo è vincere il concorso di specializzazione. Nulla di più facile – si potrebbe pensare per ragazzi abituati allo studio e propensi a un lavoro che richiede una forte vocazione. Eppure, in Italia non è così. I posti sono troppo pochi e molti laureati cercano altrove. ‘Il nostro sistema non si è ancora dotato di strumenti in grado di effettuare un’adeguata programmazione del fabbisogno di professionalità mediche. Lo dimostra il fatto che aumentano gli accessi a Medicina (10.000 negli ultimi anni, contro i 7400 del 2007), mentre diminuiscono i contratti di specializzazione (dai 4.500 dello scorso anno accademico si passerà ai 3.500 previsti per il prossimo anno)” – afferma Walter Mazzucco, presidente nazionale dell’Associazione italiana giovani medici (SIGM). Senza contare, poi, i 3000 accessi in più dovuti agli effetti della sanatoria parlamentare sul bonus maturità ed agli esiti dei ricorsi al TAR. Il contesto è problematico e non tiene conto dell’impatto crescente di malattie e disabilità legate al progressivo invecchiamento della popolazione. Nuovi bisogni che spingono i medici
a chiedere una revisione delle tipologie di professionalità da formare. “Occorrono più medici generalisti e più profili specialistici utilizzabili nel sistema integrato delle cure tra ospedale e territorio – dice il presidente di SIGM – In Francia, ad esempio, quasi la metà dei contratti di formazione sono assegnati alle scuole di specializzazione di medicina generale, mentre il resto alle altre 30 tipologie (in Italia sono 53)”. Cosa fare dunque? Cercare altre strade, proprio come Marco Mazzotta che ha appena sostenuto il concorso per terminate il suo percorso in Francia: “La formazione specialistica italiana è un buon esempio di sfruttamento di manodopera a basso costo, spesso senza turni fissi, limiti di responsabilità, e poca formazione. Ma visto che il ministro Giannini vuole copiare l’esempio francese per l’accesso a Medicina, senza tra l’altro considerare le drammatiche conseguenze di questa decisione, perché non ne ricalca anche il modello post laurea? In Francia tutti i ragazzi che fanno il concorso sanno che avranno un posto di specializzazione o di medicina generale (sono 7904 per circa 8000 partecipanti). Considerando le fisiologiche rinunce, tutti avranno un posto”. Come mai? “Perché i francesi (e quasi tutti gli altri paesi europei) – dice Marco Mazzotta – hanno semplicemente programmato gli accessi a medicina e alle specialità. Peccato che in Italia la parola magica ‘programmazione’ non sia contemplata”. Un altro camice bianco in fuga è Roberto Pezzutto: “Dopo la laurea ho deciso di fare un esperienza all’estero ed ora mi trovo Inghilterra per un tirocinio di sei mesi grazie a una borsa di studio. Come mai ho scelto questo Paese? Perchè da sempre offre agli stranieri la possibilità di fare carriera. Pensi che qui ho incontrato un chirurgo italiano primario a 42 anni, anche lui scappato anni fa da Roma. I miei sei mesi scadono il 15 di giugno ma ho già ricevuto offerte di lavoro per continuare”. La crescente emorragia di giovani medici verso l’estero rappresenta un serio campanello d’allarme e i giovani medici promettono battaglia. Il SIGM ha già organizzato per domani a Roma una mobilitazione, nell’ambito della Campagna #svoltiAMOlaSANITÀ: “Serve un sistema di programmazione in linea con gli scenari di salute futuri – conclude il presidente Walter Mazzucco – ma occorrono anche più investimenti per la formazione post laurea e per lo sblocco del turnover nel nostro Servizio sanitario nazionale”. A sinistra, un confronto tra immatricolazioni in medicina, popolazione residente e contratti di specializzazione per macro aree geografiche, da cui risulta penalizzato il Mezzogiorno. (Fonte: La Repubblica)