Ticket da rivedere, investimenti da incrementare, appropriatezza da garantire, criteri per i costi stndard da modificare. Ecco le proposte della Corte dei conti che, al di là dei risultati positivi registrati sul versante del contenimento della spesa – come scrivono i magistrati contabili nel «Rapporto 2014 sul coordinamento della finanza pubblica» presentato questa mattina – dovrebbero essere attentamente valutate nel nuovo Patto per la salute che sta per essere messo a punto da Governo e Regioni. (Consulta il «Rapporto 2014 sul coordinamento della finanza pubblica» della Corte dei conti).
La revisione dei ticket
La compartecipazione dei cittadini valeva nel 2013 oltre 2,9 miliardi, di cui 1,4 per la farmaceutica e 1,5 per le prestazioni sanitarie (poco meno di 1,3 per la specilistica ambulatoriale, circa 34 milioni per il pronto soccorso e quasi 192 milioni per i ticket su altre prestazioni), con una crescita del 2,1% per i farmaci e una flessione del -1,7% per le prestazioni specialistiche. Ma anche con una forte variabilità regionale. «C’è da chiedersi se e a quali condizioni il sistema di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie e di esenzione rappresenti, oggi, uno strumento utile per la gestione della fase che si sta aprendo», premette la Corte dei conti. Che nella sua analisi di correzione del sistema di compartecipazione – in cui ricorda anche tutte le idee sul tavolo del Patto per la salute – fa alcune ipotesi. Prevedere una tariffa per alcune prestazioni, attraverso un riferimento determinante alla “condizione economica” del nucleo familiare (garantendo l’accessibilità delle prestazioni sanitarie, evitando che la quota di partecipazione richiesta costituisca un «ostacolo alla fruizione o spinga gli assistiti anche per questioni di convenienza all’acquisto di prestazioni in regime privatistico») e procedere a una attenta revisione delle esenzioni «può rappresentare una soluzione utile, evitando di sovraccaricare il sistema fiscale e collegando parte del costo della fruizione all’effettivo accesso alle prestazioni», si legge nella relazione. Per limitare l’impatto di questi cambiamenti sui soggetti esenti per patologia o per invalidità, obbligati a usufruire spesso delle prestazioni del Ssn nelle diverse aree (farmaceutica, specialistica, day hospital ecc.) «si è suggerito di fissare un tetto massimo annuo di spesa da partecipazione, eventualmente articolato in funzione delle fasce di reddito, al raggiungimento del quale le prestazioni sarebbero fornite gratuitamente». Secondo la Corte «un passo fondamentale è rappresentato dall’assunzione di un chiaro elemento di valutazione della condizione reddituale, con caratteristiche che riducano le differenze di trattamento a parità di condizioni di reddito La complessità nella gestione da parte del cittadino delle informazioni per valutare la situazione economica del nucleo familiare è alla base delle riserve avanzate sulla utilizzazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee). Pur recentemente aggiornato, esso presenta ancora elementi di criticità che ne rendono difficile l’utilizzo in ambito sanitario».
E la Corte afferma che l’ipotesi su cui si sta lavorando è la possibilità di utilizzare, almeno in via transitoria, un indicatore più semplice, costruito su informazioni (composizione del nucleo familiare fiscale, redditi dichiarati a fini Irpef) già presenti presso l’Amministrazione finanziaria. «Ciò consentirebbe di mettere a disposizione dei medici prescrittori, nell’ambito del Sistema tessera sanitaria, l’informazione relativa all’appartenenza di ogni assistito ad una classe di “reddito equivalente”, cui potrebbero essere associati benefici in termini di partecipazione alla spesa sanitaria».
Come tornare a investire in sanità
Altro compito per il Patto per la salute, scrive la Corte nella relazione, è quello di riavviare gli investimenti in sanità. La Corte analizza i finanziamenti fin qui stabiliti e le somme erogate e da erogare e sottolinea che gli interventi per gli accordi di programma di cui deve essere individuata la copertura finanziaria sono pari a 5,079 miliardi ai quali vanno aggiunti 850 milioni non ancora ripartiti delle somme pregresse. «Si tratta – scrive la Corte – di risorse necessarie per accompagnare il processo di riorganizzazione delle strutture ospedaliere e di adeguamento della rete territoriale in coerenza con le misure per la appropriatezza. Risorse che andranno individuate anche ricorrendo a misure di cofinanziamento per l’edilizia sanitaria, attraverso i Programmi operativi nazionali e con l’inserimento di tali interventi e delle relative risorse nell’ambito dei Programmi operativi regionali (Por) del Fondo Sviluppo e Coesione 2014-2020. C’è poi l’ipotesi – prosegue – di consentire, per il triennio 2014-2017, l’accesso ad una provvista finanziaria presso la Cassa Depositi e Prestiti, cui si dovrebbe far cenno nel nuovo Patto della salute. Tale soluzione, per garantire il rispetto dei vincoli di finanza pubblica, dovrebbe prevedere una copertura a carico delle Regioni. La sua praticabilità dovrà essere valutata in base ai margini ancora disponibili nei bilanci degli enti a fronte del forte impegno affrontato da alcune regioni con il ricorso ad anticipazioni per il pagamento dei debiti verso fornitori. Nel nuovo Patto sarà, altresì, previsto l’impegno per una revisione della normativa tecnica in materia di sicurezza, igiene e utilizzazione degli ambienti specifica per il settore, cui adeguare le strutture sanitarie esistenti».
Appropriatezza, scelta obbligataper nuove risorse
Un elemento cardine di una strategia che punti a recuperare margini di manovra dal riassorbimento delle spese inappropriate è costituito, secondo la Corte, dal processo di razionalizzazione delle reti ospedaliere. Mantenere strutture ospedaliere di piccole dimensioni, con la «frammentazione e duplicazione dell’offerta ospedaliera», porta sia problemi sul campo della sicurezza, sia limiti alla qualità dell’assistenza erogabile. «La chiusura dei piccoli ospedali (al di sotto dei 60 posti letto ancora non completamente definito) e il raggiungimento dello standard di 3,7 posti letto per mille abitanti, nel corso del triennio potrebbe determinare una riduzione di oltre 7000 postiletto. Ciò consentirebbe – si legge nella relazione – il recupero delle risorse necessarie per potenziare l’assistenza territoriale e domiciliare, fornendo in tal modo una risposta alla domanda posta dalla forte crescita di patologie croniche-degenerative dovute all’invecchiamento della popolazione». E la Corte “sprona” (e consiglia) Regioni e Governo impegnate sul Patto: «Concordare le condizioni necessarie per garantire livelli di assistenza ospedaliera omogenei nell’intero territorio nazionale, in termini sia di adeguatezza delle strutture, sia di risorse umane impiegate in rapporto al numero di pazienti serviti e al livello di complessità della struttura, rappresenta un passo importante verso il riassorbimento di inefficienze e inappropriatezze. Ciò richiederà una classificazione delle strutture ospedaliere secondo livelli gerarchici di complessità e bacini di utenza, standard minimi e massimi di strutture per singola disciplina, mirati ad offrire una buona qualità delle prestazioni attraverso una concentrazione in un numero limitato di presidi cui affluisce un numero elevato di pazienti, previsione di standard generali di qualità per l’autorizzazione e l’accreditamento e standard specifici per l’alta specialità». In particolare secondo la Corte andranno ridefiniti interventi in grado di incidere sugli accessi non appropriati ai pronto soccorsi e alle prestazioni basate su apparecchiature, di indagine diagnostiche e ai relativi percorsi diagnostico-terapeutici. E «le risorse che verranno risparmiate attraverso l’applicazione di tali misure oggetto del Patto dovranno essere reinvestite ad invarianza del finanziamento annuale previsto». La riorganizzazione della rete ospedaliera, spiega la Corte, dovrebbe accompagnarsi al potenziamento di strutture di degenza post acuta e di residenzialità, a uno sviluppo dell’assistenza territoriale per rendere più agevole la dimissione e ridurre le degenze non necessarie, favorendo contemporaneamente il reinserimento nell’ambiente di vita e il miglioramento della qualità dell’assistenza. L’individuazione di interventi sulla rete dei servizi per l’assistenza e la cura delle persone non autosufficienti, in particolare anziani e disabili, è uno degli aspetti più urgenti che il Piano. Ma «il ritardo nella definizione di una adeguata offerta di servizi rappresenta, in un rilevate numero di realtà territoriali, il nodo più problematico. Non si tratta solo di livelli di assistenza insoddisfacenti, ma anche di alimentare fenomeni di utilizzo inappropriato».
I costi standard
Il 2013 è stato il primo anno del riparto secondo i costi standard, basati su tre regioni di riferimento (Umbria, Emilia Romagna e Veneto). Ma secondo la Corte «l’applicazione di tale metodologia nel riparto del fabbisogno sanitario standard non ha cambiato in maniera sostanziale i risultati ottenuti con la procedura di definizione dei fabbisogni sanitari regionali vigente in passato». Per rendere effettivo il percorso di applicazione dei costi standard e dei fabbisogni standard in sanità, sarà necessario, secondo la Corte, operare una revisione dei criteri di pesatura della quota capitaria (attualmente basati sui consumi ospedalieri e di specialistica ambulatoriale per fascia di età della popolazione residente). Un eventuale passaggio a criteri basati anche sui consumi di altri ambiti assistenziali, e su indici di prevalenza delle malattie o indicatori socio-economici potrebbe produrre modifiche di maggior rilievo. «Un passaggio per il quale è necessario disporre di adeguati flussi informativi (sull’assistenza domiciliare, sull’assistenza residenziale, sulla salute mentale e sulla dipendenza patologica e emergenza-urgenza) e di criteri di costruzione dei dati contabili affidabili e omogenei», si legge nel rapporto. Una migliore metodologia di individuazione dei costi standard è quindi, secondo la Corte, strettamente legata al processo di certificazione dei dati contabili e all’implementazione in ogni regione ed in ogni azienda sanitaria di sistemi di controllo di gestione e di contabilità analitica. «Solo partendo da costi certi sarà possibile individuare costi standard attendibili», sottolinea il rapporto.
I dati di spesa
La Corte conferma: anche nell 2013 la sanità ha fatto progressi «già evidenziati negli ultimi esercizi, nel ontenimento dei costi per l’assistenza sanitaria. La spesa complessiva ha continuato a ridursi, pur se a ritmi inferiori allo scorso biennio. La spesa è stata di circa 2 miliardi inferiore alle attese, confermando la sua stabilizzazione in termini di prodotto al 7 per cento».
In particolare nel 2013 le uscite complessive per l’assistenza sanitaria si sono attestate a 109,3 miliardi e il dato a consuntivo si è mantenuto «ben al di sotto» del dato previsto nel Def di aprile 2013 (111,1 miliardi). Per il terzo anno consecutivo la spesa presenta una riduzione in termini nominali (-0,3 per cento contro il -1,3 per cento dello scorso anno secondo gli importi rivisti anche in relazione all’esercizio 2012), mentre rimane sostanzialmente invariata in termini di prodotto.
«Un risultato da non sottovalutare – sottolinea la Corte – anche considerando che, dei 7 miliardi di minori spese nel conto della Pa rispetto al preconsuntivo di ottobre, circa due sono da ricondurre al settore sanitario, settore che assorbe poco più del 15 per cento della spesa al netto interessi. Un contributo importante per il mantenimento degli biettivi di indebitamento netto delle Pa entro il 3 per cento. Una flessione ottenuta inoltre in un anno di ripresa della spesa corrente primaria aumentata di 3,6 miliardi».
Secondo l’analisi della Corte dei conti, nel 2013 il risultati di esercizio (prima delle correzioni apportate in sede di verifica riguardo a le aziende in utile, differenze e rischi) presentano un «netto miglioramento rispetto al precedente esercizio»: le perdite si riducono del 14,4 per cento per l’effetto combinato di minori costi (in flessione dell’1,2 per cento) e minori ricavi (-0,9 per cento). Sono soprattutto le regioni in Piano di rientro a registrare il miglioramento più netto (-21 per cento). Un progresso che vale per tutte le aree del Paese e che si fa più forte nelle regioni a statuto ordinario del Mezzogiorno. Il risultato muta ove si guardi ai dati di esercizio presi in considerazione dai Tavoli. Le perdite prima delle coperture (considerando le aziende in avanzo e le correzioni e i rischi) crescono a circa 1,9 miliardi di euro, in riduzione rispetto al 2012 dell’8,7 per cento.
Ma, soprattutto, il buon andamento non è riconducibile ad entrambe le tipologie di enti: le regioni in Piano di rientro registrano nel complesso una seppur lieve aumento delle perdite (+1 per cento) rispetto ai risultati del 2012; quelle non in Piano vedono ridursi il disavanzo (prima delle coperture) del 17 per cento. Diversamente a quanto rilevato nel 2012, le regioni in Piano presentano coperture eccedenti non dissimili a quelle non in Piano, con un ridimensionamento complessivo a 121 milioni.
Le previsioni per il 2014
Seguendo le previsioni del Def, la Corte indica che la spesa prevista per il 2014 è di 111.474 milioni (+2 per cento rispetto al 2013). In riduzione di oltre 1,6 miliardi rispetto alle stime contenute nella Nota illustrativa della legge di stabilità 2014 e sconta l’effetto di trascinamento della revisione degli esercizi precedenti.
All’interno della spesa dei produttori non market, il complesso dei redditi da lavoro dipendente è previsto in crescita del solo 0,1 per cento. Tale variazione sconta i dati sul costo del personale rilevati a fine 2013 e il limite al riconoscimento di incrementi retributivi stabilito dalla legislazione vigente.
Per i consumi intermedi, sono invece previsti aumenti del 3,8 per cento rispetto al 2013. Su tale andamento incidono in riduzione le misure di contenimento della spesa disposte con l’articolo 17 del Dl 98/2011, con l’articolo 15 del DL 95/2012, e l’articolo 1, comma 131, della legge 228/2012 (Legge stabilità 2013). Produce un aumento, invece, l’incremento dell’aliquota Iva al 22 per cento.
La spesa dei produttori market aumenta complessivamente del 2 per cento. All’interno di tale aggregato la farmaceutica è attesa aumentare dell’1,5 per cento a ragione delle modifiche al regime di tale spesa disposto dalle misure prima ricordate e dell’abbassamento del tetto stabilito per la farmaceutica territoriale all’11,35 per cento.
La medicina di base presenta un aumento dello 0,1 per cento risentendo degli effetti dei limiti agli incrementi retributivi al personale convenzionato con il Ssn. Le altre prestazioni in convenzione presentano una variazione positiva del 3,4 per cento. Tale stima sconta, da un lato, gli effetti delle misure di contenimento della spesa e, in particolare, della riduzione del 2 per cento rispetto al valore 2011 degli importi e dei volumi degli acquisti da erogatori privati2; dall’altro, gli effetti della non applicabilità – a seguito della sentenza n. 187/2012 della Corte costituzionale – di quanto disposto dal Dl 98/2011 che prevedeva , attraverso un regolamento, l’introduzione di misure di compartecipazione alla spesa per un importo pari a 2 miliardi a decorrere dal 2014 (i ticket sono portati in riduzione del livello di spesa). Sono infine inclusi i maggiori costi (pari a 82 milioni per l’anno in corso) connessi al finanziamento a carico dello Stato delle attività dei Policlinici universitari e degli ospedali non statali. Le altre componenti di spesa (pari a 5 miliardi nel 2014) sono previste in aumento del 6,7 per cento.
La tendenza negli anni successivi
Nel periodo 2015-2018, la spesa sanitaria, scrive la Corte nella relazione, cresce ad un ritmo del 2,1 per cento medio annuo, inferiore alla variazione attesa del Pil nominale (+3 per cento annuo): l’incidenza della spesa sul prodotto si riduce pertanto lievemente, passando dal 7 per cento del 2014 al 6,8 per cento del 2018. Aumenta invece di 0,5 punti l’incidenza sulla spesa corrente al netto degli interessi per la quale si prevede una variazione più contenuta. Le previsioni scontano il quadro macroeconomico previsto per il periodo di riferimento, un profilo di spesa per le diverse componenti coerente con la dinamica registrata negli ultimi anni, l’efficacia delle misure di contenimento della spesa adottate. Sono inoltre inclusi i maggiori costi pari a 35 milioni annui relativi al finanziamento dei Policlinici universitari non statali. (Fonte: Sole24Ore Sanità)