Smi boccia il nuovo Codice Deontologico e lo statuto Enpam: appena nati e paleontologici

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Dopo la segreteria nazionale, tenutasi a Roma oggi, Salvo Calì, segretario generale Smi, ha confermato il giudizio negativo sul nuovo codice deontologico approvato dalla Fnomceo: «Un’occasione persa: il nuovo codice deontologico dei medici è appena nato ma è già vecchio: anzi è addirittura paleontologico ed è la fotografia di una categoria che subisce le sfide della modernità, rifugiandosi su posizioni difensive e conservatrici. Lo dimostra anche l’ampia maggioranza che lo ha approvato, espressione di un sistema ordinistico che fa fatica sia a difendere i camici bianchi che a proporsi come bastione della tutela del diritto alla salute dei cittadini. Ma come è possibile che nessuno si preoccupi di verificare la percezione e il gradimento che hanno gli italiani delle nostre istituzioni locali e nazionali?». Lo Smi, oltre ai profili evidenziati da alcuni importanti presidenti di Ordini, che hanno votato contro questo testo (obbligo di assicurazione, tra gli altri), ha sottolineato tre ulteriori nodi critici:

1) Rimane irrisolto il nodo del conflitto di interessi: il codice non interviene sul tema del rapporto tra le istituzioni mediche e la Politica. Nonostante non si faccia (a parole) altro che denunciare l’invadenza della partitocrazia nel governo della sanità pubblica e delle Asl, assistiamo, invece, a processi emulativi preoccupanti: non diamo il buon esempio e pecchiamo di “collateralismo”. Non è possibile che un presidente di Ordine sia anche parlamentare, la rappresentanza istituzionale non si può identificare con nessun partito o schieramento. Come dimostra anche il caso dello stesso massimo esponente della Fnomceo (anche presidente del collegio di Torino), Amedeo Bianco, che al contempo è senatore. Per fare bene lobby i ruoli devono essere distinti. Ma questo problema riguarda anche la gestione dell’ente previdenziale (che ha appena riformato con molti punti fortemente critici, appunto, il proprio statuto): un presidente di ordine non può concentrare più ruoli, come  essere anche componente del consiglio di amministrazione dell’Enpam o della direzione di fondazioni immobiliari.

2) Manca la questione di genere, nonostante la professione medica sia sempre più al femminile. Un’amnesia quantomeno sospetta.

3) Circoscrive l’ambito di competenza della professione medica, per meglio precisarla, ma sembra un riflesso condizionato della paura della concorrenza del mondo infermieristico. Un atteggiamento evidentemente (o inconsciamente) difensivistico.

«Nella deontologia, (ma non solo: anche nei meccanismi democratici di partecipazione elettorale, che sono antiquati, per non dire “feudali”) che è il fulcro stesso dell’esistenza dei collegi professionali – continua il segretario Smi – manca un vero salto in avanti: la Fnomceo non riesce ad avviare un processo virtuoso di autoriforma, a percepire nei tempi giusti i cambiamenti della nostra società. Stesso discorso vale anche per l’Enpam, dove il processo che ha portato al nuovo statuto (nella forma e nei contenuti) è sulla falsariga di quanto avvenuto in ambito ordinistico: (fare finta di) cambiare tutto per non cambiare niente. D’altronde l’Ente previdenziale dei medici non è eletto direttamente dai medici, come avviene per esempio con gli avvocati, ma dagli stessi consigli degli ordini, che quindi sono gli unici azionisti di riferimento. Il rischio con questo triste panorama è che l’assenza della giusta dose di coraggio e di una forte visione di futuro, finirà con il travolgere anche quanto di buono c’è nell’idea stessa di avere un sistema basato sui collegi e una cassa professionale privata. Finiremo rovinosamente sotto le macerie di un nostro “muro di Berlino”».

«Infine – aggiunge – non possiamo non apprezzare la voce, purtroppo minoritaria, di chi, come Ivan Cavicchi, ha posto problemi di merito, chiedendo un confronto alto sulla modernizzazione della professione medica. Questioni rimaste inascoltate. E, al contrario, non criticare l’atteggiamento di Amedeo Bianco, che di fronte a una osservazione puntuale sul problema del conflitto di interessi, prova a dare sul Corriere della Sera (lunedì scorso) una cattiva lezione su cosa è il lobbysmo e su come funzioni il sistema ordinistico». «Temo di doverlo smentire –conclude Calì – e di poter dire che negli Stati Uniti non esista un congressista che sia allo stesso tempo a capo di un’organizzazione sindacale (negli Usa non esistono gli albi, ma se esistessero, per analogia, sarebbe comparabile). Bene in Italia manca una legge sulle lobby e manca un codice deontologico che impedisca a chi rappresenta istituzionalmente i medici di poter sedere al Parlamento. Anzi, nel nostro Paese, si diventa politici proprio perché si è presidenti della Fnomceo o del collegio dei farmacisti o degli infermieri. E poi ci lamentiamo se ci considerano una “casta”».