In Italia, da almeno quattro anni, si parla delle cosiddette “Case della Salute” (CdS): strutture sanitarie dislocate nelle diverse Regioni, ciascuna con il proprio modello organizzativo. Infatti, in Toscana e in Emilia Romagna, le CdS sono già state realizzate e sono perfettamente funzionanti. Mentre, nel Lazio, arrancano. Tant’è che nelle Regioni cosiddette “virtuose”, vi sono realtà più evolute rispetto ad altri territori.
La prima valutazione è, dunque, di natura economica. Difatti, le Regioni citate, non sono commissariate e, sia in Emilia Romagna che in Toscana, prevalgono centri abitati che, numericamente, non superano i 20.000 abitanti, rispetto a conglomerati densi di popolazione. Infine, sono Regioni con scarsissima presenza di presidi ospedalieri e con un buon rapporto medico/abitante. Quindi, in tal caso, le CdS sono strutture di supporto al territorio, nate proprio per favorire la domiciliazione di pazienti fragili che, diversamente, sarebbero costretti ad essere ricoverati in nosocomi troppo distanti e in cui, molto probabilmente, non risolverebbero i loro problemi di salute.
Tutto il contrario accade nel Lazio, dove la popolazione è fortemente concentrata nella Capitale o in grossi centri di provincia. Per altro si registra la più alta concentrazione di medici e ospedali privati-convenzionati e pubblici, nonché strutture legate in varia maniera al Vaticano, convenzionate con il SSR. Questo tipo di sistema è molto diffuso in tutto il centro-sud e segna un profondo divario con il nord-Italia. Ecco perché urge un’attenta programmazione, a fronte di una domanda di salute che, da quarant’anni ad oggi, è fortemente mutata semplicemente perché, da almeno vent’anni, non esiste più la politica.
Ma cos’è la politica? L’etimologia della parola nasce dal greco “politikés”: l’arte di governare. In effetti i politici antichi – fino al ‘900 – erano degli artisti o, meglio, dei visionari. Visionari che, proiettati nel futuro, immaginavano l’evoluzione della società e, in base alla loro visione, richiedevano e collocavano le risorse prelevate dai cittadini sotto forma di tasse. I governi che si sono succeduti in Italia, hanno prima tentato di lasciare la sanità al libero mercato privato, legiferando, in seguito, la costituzione delle casse mutue. Fino ad arrivare alla convinzione che fosse utile per tutto il Paese, a prescindere dal ceto sociale e per favorire la popolazione più povera, la costituzione di un Sistema sanitario nazionale (Ssn) equo e solidale. Tutto questo è stato realizzato in circa trent’anni, durante i quali si è passati da uno stato di estrema povertà al boom degli anni ’60, per arrivare alla rivoluzione studentesca del ’70, fino agli anni di piombo. Insomma, nonostante il periodo fosse molto “movimentato”, il Parlamento legiferava scrivendo le leggi con penna e calamaio. Il declino della politica “lungimirante”, inizia negli anni ottanta e continua sino ai giorni nostri. Oggi, il politico, non solo non è un visionario (statista) ma, soprattutto, non si preoccupa di come sarà il Paese fra dieci o quindici anni; ma si limita allo scenario dell’anno successivo, visto che è più preoccupato delle elezioni che del bene comune.
Tutto questo discorso è strettamente correlato con la questione delle “Case della Salute”. Come tutti gli slogan pubblicitari, anche tali strutture sanitarie, rappresentano un modo, nella società contemporanea, per rendere il politico di turno mediaticamente visibile e, quindi, rieleggibile. La regione Lazio ed i suoi Presidenti, che si sono succeduti dall’inizio del commissariamento nazionale, hanno sfruttato le poche risorse che il Governo centrale dava loro per farsi pubblicità e, “le Case della Salute”, rappresentano l’unica risorsa economica che il Governo in carica ha messo a disposizione del Presidente della regione Lazio per il 2014.
Quindi: viva le “Case della Speranza”! Il problema, però, è che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Sarebbe stato utile, prima di riconvertire arbitrariamente alcune strutture ospedaliere, fare una valutazione sull’impatto che queste scelte avrebbero avuto sulla popolazione. Mi spiego: gli ospedali di Sezze (Lt) e Pontecorvo (Fr), avrebbero dovuto essere utilizzati prima di tutto per rispondere ai bisogni della popolazione locale, ancor prima di trasferire al loro interno i medici di famiglia.
Voglio ricordare che, negli anni ’50, esisteva la figura professionale del “medico condotto”, il quale assisteva bacini di utenza di svariate decine di chilometri e, a quei tempi, pochi privilegiati avevano la macchina. Allora, però, c’erano le famiglie allargate; dove gli anziani vivevano con i nipoti e, nel bisogno, tutti si davano una mano. Basti pensare che, all’occorrenza, andavano addirittura a prendere il medico, anche a chilometri di distanza, magari offrendogli la cena e regalandogli uova e galline. Nel tempo la società è profondamente cambiata e l’utenza non ha più (grazie alla politica) il rispetto per i medici che, al contrario, devono essere presenti ogni qualvolta il cittadino lo reputi necessario. Pertanto il paziente preferisce avere il medico sotto casa, anzichè fare due chilometri per arrivare alla “Casa della Speranza”…
Basterebbe meno ipocrisia e più umiltà da parte della politica per capire che, in questo momento storico, i bisogni primari del cittadino sono quelli di poter avere il farmaco a domicilio, di contare su un’assistenza appropriata per le diverse fasce di fragilità (cronicità, persone anziane, diversamente abili o affette da patologie psichiartriche etc.); e non certo fare “domani” un eococolodoppler degli arti inferiori o un Rmn del ginocchio. Questi ultimi sono bisogni indotti dalla pubblicità ma, talvolta, dalla totale mancanza di rispetto da parte dei cittadini nei confronti del professionista medico-pubblico. Spesso, il paziente che consulta il medico del settore “privato”, gli attribuisce subito grande competenza e professionalità, qualora gli vengano prescritte una sfilza di esami e accertamenti. Purtroppo, poi, tutte queste prescrizioni, ricadono – ad effetto domino – sul medico del comparto “pubblico”, facendo inevitabilmente lievitare a dismisura la spesa sanitaria regionale.
Quindi, per concludere, le “Case delle Salute”, servono solo a “vendere” speranza ai cittadini. Mentre, già dal lontano 1999, sono stati regalati ben 7 miliardi alle Coop (legate ad un Sindacato medico molto rappresentativo), dall’allora Governo regionale di Badaloni, con la collaborazione del Sindaco di Roma Rutelli. Questa era e continua ad essere la politica della nostra Regione che, tra demagogia e populismo, da trent’anni, gioca con i bisogni reali della gente.
Paolo Marotta, segretario SMI-Lazio