Dopo la farmaceutica, i servizi di psicologia, l’assistenza territoriale e la prevenzione, la federazione sindacale entra nel merito delle opzioni previste nei Piani Operativi regionali per il riordino dei laboratori. E propone di concentrare l’attività in una unica unità polispecialistica che abbia dimensioni non esasperate.
La Regione Lazio sembra pronta ad emanare un provvedimento di riordino dei laboratori fatto di “sangue, fatica, lacrime e sudore” dei pazienti e degli operatori, elaborato nel segreto e nel silenzio più assoluto, senza aver prima avviato un democratico confronto con le parti sociali, rappresentanti degli uni e degli altri. Quale modello ha ispirato il Presidente Zingaretti? Un modello stile Emilia Romagna che ha già prodotto effetti lontani da quelli desiderati? Il provvedimento che si profila all’orizzonte non consentirebbe la diminuzione della spesa ma produrrebbe, semmai, la diminuzione della qualità delle prestazioni e l’incremento delle difficoltà di poterne fruire.
I risparmi auspicati sono, infatti, tutti da dimostrare se solo si tiene conto degli enormi stanziamenti necessari per la “creazione” di “esamifici” da svariati milioni di prestazioni/anno che siano, tra l’altro, in grado di raccogliere i campioni biologici da decine di Centri Prelievi dislocati a parecchi chilometri di distanza, senza compromettere la qualità e l’attendibilità degli esami considerando che i tempi di percorrenza necessari per il trasporto dei campioni producono un’alterazione della qualità dei processi analitici ed allungano i tempi di consegna dei risultati. La necessità di far fronte alla complessità del sistema trasporti, della rete informatica e del rapporto tra laboratorio e clinici renderebbe pressoché nulli i risparmi ottenuti dalla acquisizione dei reagenti.
Non può, poi, non rilevarsi come le “diete dimagranti” vengano spesso imposte al solo mondo del laboratorio pubblico ospedaliero e territoriale mentre università, istituti religiosi e privati, i cui costi pure ricadono sul SSR, vengono lasciati alla più completa autonomia.
Corre, peraltro, l’obbligo di ricordare che le ASL sono Enti dotati di propria autonomia ai sensi e per gli effetti di quanto stabilito dal D. Lgs. 502/1992, il quale stabilisce testualmente che le Aziende Sanitarie Locali sono dotate “di personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale”; hanno un’organizzazione ed un funzionamento “disciplinati con atto aziendale di diritto privato” il quale “individua le strutture operative dotate di autonomia gestionale o tecnico-professionale, soggette a rendicontazione analitica”.
Ciò evidentemente al fine di consentire un modello organizzativo adattato alle esigenze socio-sanitarie del territorio e della popolazione, sul quale la Regione può esercitare un potere di indirizzo generale e vigilanza ma non anche un potere dispositivo o impositivo.
Perché dunque privare alcune Aziende di una parte così importante del loro “core business” come dovrebbe succedere (giungono voci insistenti in tal senso) alla RM G ed alla RM F?
Perché, addirittura, smembrare la loro organizzazione, come nel caso della RM H, suddividendo le prestazioni di laboratorio su presidi diversi (da Anzio a Latina? dal resto del territorio alla RM C?).
Per non parlare della ventilata intenzione di accorpare prima gli IRCSS Spallanzani ed IFO e poi smembrarne i laboratori di ricerca, smistandoli su altre strutture ospedaliere quali il San Camillo e il S. Eugenio svilendone la caratteristica di alta specializzazione.
La logica di tali decisioni sembra punitiva per alcuni e premiante per altri.
Vorremmo che fossero resi pubblici i criteri che hanno ispirato gli esperti che hanno elaborato la bozza di decreto e che i processi riorganizzativi di tale portata, che riguardano i destini di tanti lavoratori pubblici, e solo pubblici, fossero pubblicamente discussi.
La Regione Lazio ha forse timore di convocare i sindacati della dirigenza medica e sanitaria sui riordini in atto?
Perché si decide una riorganizzazione ospedaliera che vede la unificazione dell’A.O. San Filip-po Neri con la RM E e la RM A e poi si decide, in merito ai laboratori, di operare scelte diffe-renti in spregio, peraltro, alla autonomia delle Aziende Regionali?
La FASSID Area AIPaC ritiene ancora valido quanto stabilito nella DGR 1040/2007 a cura di esperti facenti parte del Nucleo Operativo Tecnico accreditato presso la Regione Lazio:
“Realizzare un core-lab all’interno di un ospedale o struttura che fino ad oggi ha lavorato con diversi laboratori più o meno autonomi gli uni dagli altri significa concentrare l’attività in una unica unità polispecialistica che abbia dimensioni non esasperate ( sono considerati volumi ragionevoli 2-3 milioni di test all’anno)”.
Perché: . Sono cambiate le opinioni o gli autori?
Del resto anche gli standard riferibili al collegato del Decreto Balduzzi prevedono almeno un laboratorio di analisi chimico cliniche e microbiologiche ogni 150.000-300.000 abitanti così da far ritenere del tutto giustificate ed, anzi, necessarie, almeno 16 strutture per gli oltre 5.300.000 di abitanti della Regione Lazio e quindi (come già stabilito nella DGR 1040/07) un laboratorio per ogni Azienda Sanitaria Locale o Ospedaliera.
E soprattutto: una Regione che tuttora annaspa per uscire dal Piano di Rientro,come può ipotizzare investimenti della portata di un progetto così ambizioso?
Non è noto che la realizzazione del Laboratorio di Pieve Sestina dell’Area Vasta di Romagna – per inciso divenuta ASL unica proprio nel gennaio 2014 per evidenti motivazioni giuridiche- è costata circa 16 milioni di euro? (Fonte: Quotidiano Sanita’)