Fascicolo sanitario elettronico (Fse) e dematerializzazione della ricetta devono entrare in campo «senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica», ossia senza fondi specifici. Questo, se condo Massimo Mangia, docente Luiss Business school e responsabile e-health
di Federsanità Anci, induce una riflessione su come sia possibile fare innovazione con le attuali risorse economiche, argomento che saranno analizzate il 26 giugno alle 15.00 presso la Luiss Business School, in viale Romania 32 a Roma, nel workshop: «Il Fascicolo sanitario elettronico in Italia: la sanità al tempo di Internet».
Secondo Mangia un’ampia categoria di benefici, come a esempio la sicurezza del paziente, la riduzione dei tempi, l’efficienza organizzativa, sono di difficile conversione in metriche monetarie, dal momento che ad esempio la riduzione delle giornate di degenza non si traduce, automaticamente, in un risparmio pari ai costi dei ricoveri, ma al più nella sola riduzione dei costi variabili, essendo quelli fissi determinati dal modello organizzativo che non può, dall’oggi al domani, essere modificato e del quale il costo del personale è una delle voci più rilevanti.
L’arco temporale, su base cumulativa, in cui i benefici superano i costi è piuttosto lungo, in media tra i 7 e i 10 anni. A livello di rapporto costi/benefici, le aziende sanitarie (o il servizio sanitario pubblico) sostengono la gran parte dei costi (fino al 93%), a fronte di benefici per il 40-60%; una parte rilevante dei benefici ricadono sui cittadini e gli operatori professionali. Questa ripartizione implica maggiori costi per la sanità pubblica, nei diversi livelli organizzativi, a fronte di ricadute per i cittadini e il personale. Per ottenere benefici è necessario investire risorse addizionali, dal momento che la tempistica dei primi è più lenta rispetto alle seconde. L’aspetto più critico è però se, nell’attuale contesto economico, a fronte delle stesse risorse finanziarie, sia possibile effettuare investimenti le cui ricadute siano in parte esterne al perimetro del servizio sanitario nazionale; nessun dubbio sulla correttezza e opportunità politica di tale scelta, tuttavia i vincoli di bilancio che impongono la clausola «senza oneri aggiuntivi» lasciano poco spazio a un concreto piano di investimenti in eHealth, senza i quali appare velleitario immaginare l’implementazione e l’esercizio del Fse e della ricetta dematerializzata.
Tutto questo, come spiega Mauro Moruzzi, direttore scientifico Cup 2000 Spa e responsabile e-Health academy AssinterItalia, in un quadro in cui l’innovazione Ict nella sanità italiana, che dovrebbe avvenire con un balzo organizzativo e tecnologico, passando dalla vecchia informatica sanitaria dei Ced alle reti e-Health di ultima generazione Internet, ha davanti a sé un quadro non edificante. Le élite della sanità italiana, con poche e valide eccezioni, non hanno una cultura della dematerializzazione. Non pochi dirigenti vivono con criticità la legge del Fascicolo, come un’ennesima complicazione. Tutto il comparto sanitario soffre di una carenza strutturale di investimenti in progettualità di rete. Per lungo tempo domanda pubblica e offerta industriale di prodotti Ict in sanità hanno privilegiato la vendita e l’acquisto di prodotti commerciali (hardware, applicativi software, connettività e consulenze) anziché la progettualità e le nuove architetture e-Health. Si è preferito informatizzare i flussi amministrativi – senza grandi successi – anziché i dati di salute e la condivisione di questi tra medico di famiglia, medico specialista e cittadino in funzione dei percorsi di cura e di continuità assistenziale. I servizi on line realmente attivi – che dovrebbero ben presto popolare il Fascicolo – come i CupWeb per intercettare le ricette mediche dematerializzate e la prima disponibilità per l’utente, sono mosche bianche. Esiste un reale rischio che anche a questo importante appuntamento la sanità italiana si presenti divisa in tre tronconi: un centro nord che fa il balzo europeo verso una sanità dematerializzata; altre regioni del centro e del nord che cercano affannosamente di raggiungere questi risultati; mentre il resto dell’Italia non avrà il Fascicolo sanitario elettronico e una diffusione delle reti regionali-locali e-Health.
Per ovviare a questa situazione occorre, secondo Moruzzi, che il Governo centrale, con gli strumenti che ha a disposizione, operi coraggiosamente contro la frammentarietà tecnologia della sanità italiana imponendo un riuso delle soluzioni progettuali, architettoniche e tecnologiche per le quali le Regioni virtuose hanno già ampiamente investito per almeno un decennio. AssinterItalia – l’Associazione delle società Ict in House delle Regioni – ha in questi mesi messo a punto un catalogo di tutti questi investimenti e di queste soluzioni tecnologiche e-Health che la pubblica amministrazione già possiede e che andrebbero condivisi realizzando enormi risparmi di tempo e di soldi. Per altro, questa politica del “riuso” è indicata espressamente come buona pratica nel decreto attuativo del Fse.
E sul riuso Clara Fresca Fantoni, presidente di Assinter Italia ricorda che per la valorizzazione del lavoro a luglio 2013 Assinter Italia aveva proposto un emendamento all’articolo 17 del Dl 21 giugno 2013 n. 69, con un esplicito richiamo alla valorizzazione degli investimenti e delle soluzioni già sperimentate. Come mettere in atto il riuso, a quali condizioni e modalità è ancora oggetto di discussione aperta tra gli operatori, gli enti coinvolti e tutti i livelli di governo. «Dobbiamo farlo – dice – anche mutuando le positive esperienze di contaminazione tipiche del lavoro in community».
Ma è sull’interoperabilità che, secondo Fantoni, non ci sono sconti. «È l’Europa che lo chiede – afferma Fantoni – è il Governo che indica la direttrice, sono le Regioni che dovranno attuarla, sono i cittadini ad averne bisogno. In un mondo in cui le risorse disponibili sono sempre più limitate, la popolazione è in progressivo invecchiamento e la libera circolazione delle persone sui territori degli Stati membri è una realtà, la creazione di infrastrutture e sistemi informatici che a tutti i livelli dialoghino tra loro è un’esigenza che non si può più rimandare. A partire dalla Sanità». E le esperienze maturate in alcune Regioni come Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia e Trentino dimostrano come diversi elementi tecnico-organizzativi già sperimentati siano, da subito, compatibili e candidabili a essere interoperabili e riutilizzati tra loro. «A maggior ragione – conclude Fantoni – considerando che le Regioni, seguendo le indicazioni di Agid, stanno per consegnare i singoli piani regionali per il Fse». (Fonte: Il Sole24Ore Sanità)