Il medico che prescriva farmaci ad alto rischio, nel caso di specie anticoagulanti, ha l’obbligo di fornire al paziente adeguate informazioni su come seguire le sue prescrizioni e deve accompagnare il paziente con l’attenzione e la precisione che il caso richiede. Dal canto suo, il paziente ha l’onere di seguire il piano prescrittivo e quello dei controlli che gli è stato fornito. Il riconoscimento della responsabilità professionale del sanitario non implica, perciò solo l’automatica esclusione di un’eventuale responsabilità del paziente, rilevante ai sensi dell’articolo 1127 del Codice civile (se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate, il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza).
Con questa motivazione la terza sezione civile dalla Cassazione con sentenza n. 11637 del 26 maggio scorso, ha rinviato per la valutazione della corresponsabilità del paziente alla Corte d’Appello di Milano deceduto per avere assunto dosi eccessive di un farmaco anticoagulante (coumadin). (Consulta il testo della sentenza).
Il Tribunale, svolta istruttoria per testi ed espletata una Ctu, riconosceva la responsabilità professionale del medico nella misura di due terzi e, ponendo il residuo terzo a carico del paziente e lo condannava a rifondere i danni alla moglie e ai figli. Sentenza ribaltata in appello a sfavore del medico.
Insomma, la parola del paziente contro quella del medico. Ma, secondo la giurisprudenza costante, quando la prova è in bilico viene letta a favore del paziente.
È risultato pacifico che il decesso del paziente si fosse verificato per sovradosaggio del farmaco anticoagulante (colpa commissiva) e ha individuato il punto decisivo nel dilemma relativo all’onere della prova, osservando che si trattava di stabilire se il sovradosaggio fosse ascrivibile a colpa del medico o a quella del paziente che aveva assunto una dose errata di farmaco. Essendo opposte e inconciliabili le versioni fornite dalle parti, la Corte milanese ha fatto applicazione pura e semplice delle regole sull’onere della prova ed è pervenuta a simile conclusione dal momento che il medico non aveva chiaramente dimostrato di avere dato istruzioni precise al paziente.
Ciò nonostante, la Cassazione ha ritenuto che non fosse chiara la ragione per la quale la Corte d’Appello sia pervenuta alla condanna del professionista senza valutare la responsabilità del paziente. La sentenza di primo grado aveva, infatti, accertato che il paziente fosse parzialmente corresponsabile nell’evento letale, avendo effettuato i prescritti controlli ematici a intervalli temporali ben più ampi rispetto a quelli risultati prescritti dal medico. Il riconoscimento della sussistenza della responsabilità professionale del medico, afferma la Cassazione, non implica, per ciò solo, l’automatica esclusione di un’eventuale responsabilità del paziente se il paziente non è aderente. (Fonte: Il Sole24Ore Sanità)