La valutazione della responsabilità penale del medico che lavora in emergenza deve essere fatta considerando che non opera in «una campana di vetro o in laboratorio». Di conseguenza, il giudice deve valutare tutte le circostanze di fatto e le informazioni che erano state date al medico all’atto dell’intervento clinico, che parametrano l’agire di quel medico «all’agente modello». Il giudice, inoltre, deve valutare se un intervento, per quanto astrattamente necessario, fosse concretamente praticabile ed esigibile nella specifica circostanza. ( Consulta Il testo della sentenza).
Questa, in estrema sintesi, la ragione per la quale la quarta sezione penale della Cassazione (sentenza n. 24528/2014 depositata il 10 giugno) ha accolto le ragioni del medico, rinviando il procedimento alla Corte d’appello di Palermo che lo aveva condannato per una nuova valutazione.
Il medico, in servizio presso un’ambulanza del 118, di fronte a un paziente in stato di coma per assunzione di psicofarmaci e alcol, aveva omesso di effettuare la toilette del cavo orale e l’intubazione orotracheale somministrandogli invece un farmaco emetizzante, cagionando la morte dell’assistito per asfissia da occlusione della via respiratoria.
Il medico si era difeso evidenziando che l’intubazione avrebbe richiesto l’anestesia, che nella fattispecie era decisamente controindicata. Dagli atti non risultava chiaro se al medico fosse stato riferito del pasto assunto dal paziente.
Nel caso di specie – afferma la sentenza richiamando copiosi precedenti – soccorre la disciplina di cui all’art. 2236 del Codice civile. La quale, indipendentemente dalla sua discussa, diretta applicabilità all’ambito penale, esprime un criterio di razionalità del giudizio che può trovare ingresso come regola di esperienza cui il giudice può attenersi nel valutare l’addebito di imperizia sia quando si versa in una situazione emergenziale, sia quando il caso implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.
La sentenza pone in luce i contesti che per la loro difficoltà possono giustificare una valutazione benevola del comportamento del sanitario: da un lato le contingenze in cui si sia in presenza di difficoltà o novità tecnico-scientifiche; e dall’altro le situazioni nelle quali il medico si trovi a operare in emergenza e quindi in quella «temperie intossicata dall’impellenza» che rende quasi sempre difficili anche le cose facili. Si deve però distinguere la situazione in cui il medico operi in urgenza con il caso in cui sia malaccorto, non si adoperi per fronteggiare adeguatamente l’urgenza o tenga comportamenti semplicemente omissivi, tanto più quando la sua specializzazione gli impone di agire tempestivamente proprio in urgenza. (Fonte: Il Sole24Ore Sanità)