Il paziente deve collaborare alla cura. Nella valutazione dei danni, il giudice deve analizzare le conseguenze in termini di minore o diverso danno, nel caso in cui il paziente si fosse rigorosamente attenuto alle prescrizioni e raccomandazioni dei sanitari. Inoltre, deve valutare la posizione di tutti coloro che, a vario titolo, hanno partecipato al percorso di cura motivando, se necessario, le circostanze che hanno determinato una dichiarazione di non responsabilità di qualcuna delle posizioni coinvolte. (Consulta Il testo della sentenza)
Con questa motivazione, la Cassazione civile con sentenza n. 13055/2014, sezione lavoro, ha rinviato alla Corte d’appello di Roma per una nuova valutazione, la controversia che vedeva opposto un militare e la sua famiglia al ministero della Difesa, all’Asl e ai medici che lo ebbero in cura nell’infermeria della Caserma di Viterbo dove svolgeva servizio.
Il militare lamentava la mancata diagnosi di una appendicite, nonostante si fosse rivolto per ben tre volte al medico della caserma e una quarta presso il pronto soccorso dell’Ospedale di Viterbo. Solo una volta giunto alla residenza di famiglia, gli veniva diagnosticata una «peritonite da appendice acuta gangrenosa» e veniva sottoposto a immediato intervento chirurgico. Per l’operazione era stato ricoverato in rianimazione in imminente pericolo di vita dove vi stazionò per un mese e mezzo. Era emerso però che nel corso dell’intervento, l’anestesista non aveva posizionato il sondino naso-gastrico per svuotare lo stomaco prima di indurre l’anestesia. Da qui il ricorso in Cassazione da parte del ministero e del medico della Caserma.
La sostanza delle doglianze riguardavano proprio il possibile aggravamento del rischio a opera del militare che non si era attenuto, scrupolosamente, alle indicazioni di uno dei sanitari che gli avevano consigliato una visita di controllo, rimasta disattesa. Al secondo accesso in infermeria, gli venne anche raccomandato di presentarsi al pronto soccorso per ogni minimo acuirsi della sintomatologia dolorosa, indicazione anch’essa disattesa dal momento che il militare partì alla volta della casa dei genitori.
Anche il comportamento non aderente alle indicazioni andava certamente valutato, afferma la sentenza, onde verificare se un comportamento più collaborativo e responsabile del paziente avrebbe potuto evitare i danni subiti o comunque ridurli, anche in termini di concorso di colpa ex art. 1227 Cc, comma 1.
Pure la mancata valutazione del comportamento dell’anestesista è stata dovuta, secondo il giudice di prime cure, al fatto che l’errore era addebitabile al quadro di estrema urgenza in cui si svolse l’intervento. Tesi ritenuta non adeguatamente motivata dalla Cassazione, secondo la quale «non si può dare per scontato che in un ospedale pubblico, evidentemente attrezzato in via ordinaria per interventi di urgenza possa avvenire un errore che appare – in mancanza di ulteriori approfondimenti fattuali – non così facilmente scusabile e ridimensionabile». (Fonte: Sole24Ore Sanità)