Il Sindacato dei Medici Italiani-Smi ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ai ministri, Madia e Lorenzin, Giannini, e ai presidenti delle Regioni chiedendo che la cosiddetta riforma della pubblica amministrazione, nel suo iter di conversione in Parlamento, venga modificata per impedire che si consenta ad alcuni settori della dirigenza medica di poter andare in pensione con delle deroghe, eludendo “l’unico criterio dell’età anagrafica”, che deve essere, scrivono, “il naturale end point per tutti”. Così si impedisce il necessario turn over nella nostra sanità pubblica e l’entrata e valorizzazione di nuove energie e professionalità nell’organizzazione dei servizi. (Leggi la lettera dello Smi)
La lettera a firma del vice segretario Smi, Francesco Medici, rivolgendosi, appunto, all’Esecutivo Renzi, ricorda come, una legge si possa considerare «giusta e condivisibile, solo se è uguale per tutti». «Una grande riforma della pubblica amministrazione – spiega Medici – non può tradire questo principio, una considerazione quasi scontata, eppure per il Governo, nella sanità, qualcuno è meno uguale che altri».
Per questa ragione lo Smi ritiene che, «con le modifiche richieste, il sistema a regime produrrà due effetti positivi: i medici con maggiore esperienza andranno a coprire i posti lasciati liberi dai colleghi pensionandi e le nuove leve entreranno a sostituire i colleghi diventati dirigenti apicali». «Ciò – aggiunge il vice segretario Smi – permetterebbe l’assunzione di 7.000 giovani medici e lo sblocco, al contempo, di 7.000 carriere».
All’iniziativa aderisce il Coordinamento Nazionale Precari dello Smi: «Modificare la riforma della P.A sul nodo dell’età pensionabile – spiega Emiliana Sanfilippo, giovane dirigente nazionale Smi – è giusto e necessario. Ed è una prima risposta strutturale anche al nodo endemico del precariato. Un problema che non si rivolve mantenendo incollate alle poltrone medici e universitari del Ssn. Bisogna far saltare questo tappo che impedisce a molti professionisti di progredire di carriera e ai più giovani di entrare stabilmente nel mondo del lavoro. Quando si scrive che l’Italia è “un paese per vecchi”, non si fa solo riferimento all’invecchiamento della popolazione, ma anche all’incapacità di utilizzare e mettere a regime le molte risorse parcheggiate nel limbo della precarietà. Dare spazio ai giovani – conclude – conviene a tutti, ai medici, al Ssn, al Paese». (Fonte: Il Sole24Ore Sanità)