Vent’anni dopo l’istituzione dei profili professionali, un convegno a Montecitorio traccia un primo bilancio. Il presidente del Conaps, Bortone, chiede che venga sviluppata la formazione universitaria per allineare l’Italia agli standard europei. Lorenzin: “Necessario considerare che il sistema sta cambiando”.
Sono trascorsi vent’anni dalla costituzione dei profili delle professioni sanitarie e, in questo arco di tempo, circa un miliardo di italiani, sotto forma di visita o di prestazione, hanno usufruito del servizio. Tutto questo grazie a 200 mila professionisti sanitari, con 11 prestazioni giornaliere in media, per circa 280 giorni utili produttivi al netto di ferie e festivi. Ben oltre 61 milioni all’anno. Cifre e temi che sono stati analizzato e discussi nel corso del convegno ‘Ventennale dei profili professionali’, promosso dal Conaps presso la Sala dei gruppi parlamentari a Montecitorio.
“In questi 20 anni – sottolinea Antonio Bortone presidente del Conaps è stato costruito il presente per 200 mila professionisti. E stata una stagione di grande crescita nella definizione dei percorsi formativi, delle competenze e delle regole di condotta professionale. Vent’anni perché solo due giorni fa, il 14 settembre 1994, furono firmati i profili professionali grazie ad un lungimirante e competente impegno di due ministri del tempo, Maria Pia Garavaglia e Raffaele Costa. La loro intuizione e dedizione politica ha rappresentato una stagione di forte evoluzione e sviluppo professionale, che si è concretizzata negli anni successivi con altre leggi di riforma tutte miranti a tutelare il cittadino garantendo una qualità professionale nonché stimolando le Professioni ad un processo di consapevole responsabilità e piena autonomia professionale. È stata una grande stagione della politica”.
Tuttavia non mancano questioni ancora aperte e i nodi da sciogliere, che relegano l’Italia ancora indietro rispetto alle altre realtà europee, soprattutto in tema di formazione universitaria. “Perché oggi il Paese – aggiunge Bortone – è scivolato in ultima posizione anche in questo settore. Fanalino di coda dopo che l’Italia è stato tra i primi Paesi a sottoscrivere il processo di Bologna nel 1999 con la riforma della formazione su tre cicli, Bachelor (3 anni 180 CFU), Master degree (120 CFU), dottorato di ricerca (3-4 anni). L’inizio di altre risoluzioni importanti che hanno coinvolto tutti i Paesi dell’Ue aventi l’obiettivo strategico della costruzione comune di alta formazione, di conoscenze e di attività che potessero favorire la mobilità degli studenti e dei professionisti e anche dei cittadini. In Italia il processo di Bologna si è fermato inspiegabilmente per tutte le professioni sanitarie al primo ciclo Bachelor Laurea Triennale (180 CFU), sottraendo a questo Paese opportunità di crescita, di sviluppo e di innovazione in campo sanitario per mancata formazione avanzata e negando ai professionisti sanitari delle diverse aree, la possibilità di partecipare al dibattito scientifico internazionale. Per tale grave motivo, il Conaps rivendica il diritto di scuotere il mondo politico ad assumersi la responsabilità in questo settore partendo proprio dalla formazione e prendendo esempio da altri Paesi limitrofi dove hanno applicato riforme, formando professionisti più competenti, attori della complessità assistenziale, riabilitativa e tecnico sanitaria”.
Sollecitazioni decise arrivano proprio da Maria Pia Garavaglia, protagonista di questo percorso ventennale. “Le professioni sanitarie rappresentano la componente del Ssn che garantisce la tutela – osserva – A maggiora ragione in una fase delicata come quella che stiamo attraversando, perché consentono di evitare che si ricorra sempre e soltanto all’assistenza medica. Gli operatori sanitari non medici possono avere questa missione: attraverso la demedicalizzazione di alcune prestazioni, soprattutto di carattere preventivo, per non abbandonare le fragilità di minori, anziani e persone invalide. Il Parlamento si dedichi al disegno di legge che riguarda la attualizzazione delle loro figure, con una attenzione particolare a quanto si sta preparando nel settore, anche a seguito delle recenti disposizioni europee”.
Un appello accorato alla politica è stato lanciato anche da Tiziana Rossetto, vicepresidente del Conaps. “Il bisogno clinico della persona diventa sempre più complesso – spiega – la tecnologia fa progressi da gigante ed anche in brevissimo tempo, ma le professioni sanitarie italiane sono schiacciate proprio da questo immobilismo. Malgrado gli studenti dimostrino grande interesse, malgrado il sistema produttivo richieda sempre più specializzazione delle competenze, il mondo politico, anziché amministrare la crescita e lo sviluppo professionale, è impegnato da otto anni ad impedire il cambiamento. Seicento mila professionisti (se si comprendono infermieri e ostetrici) per milioni di pazienti trattati e miliardi di prestazioni effettuate a garanzia di una Servizio Sanitario che si basa anche su tutto questo patrimonio culturale ed umano. È giunta l’ora di denunciare la politica miope di chi non vuol cambiare, a salvaguardia del sistema salute”.
E la necessità di un cambio di passo è stata sottolineata, tramite un messaggio inviato alla conferenza, anche dal ministro Beatrice Lorenzin. “Negli ultimi anni le professioni sanitarie sono state sottoposte a sollecitazioni contrastanti che vedono da una parte la richiesta di una responsabilizzazione maggiore e, dall’altra, una certa resistenza opposta da alcune parti del sistema”. Lorenzin ha infatti ricordato che alcuni ritengono “che gli ordini in sanità rappresentino un residuo obsoleto, trascurando che si tratta piuttosto di un assetto molto mutato nel tempo: prima si parlava di sanità, di cura della malattia o dell’infortunio, ora si parla di diritto alla salute, di primato della prevenzione rispetto alla cura e alla riabilitazione: inoltre, da un sistema di protezione categoriale proprio del passato, si è passati a un sistema universalistico e solidaristico”. (Fonte: Quotidiano Sanità)