Troppi contratti differenti per i medici del Servizio sanitario nazionale. Una situazione che stride ormai con la necessaria evoluzione dell’organizzazione dell’assistenza verso un sistema unico. Insomma: basta contratti di dipendenza e addio alle convenzioni “serve arrivare ad una forma contrattuale unica, che potrebbe essere di tipo liberoprofessionale parasubordinata” una soluzione a cui sta già lavorando un esperto giuslavorista su incarico dello Smi, spiega all’Adnkronos Salute Salvo Calì, segretario nazionale del Sindacato medici italiani (Smi).
Calì interviene a margine della presentazione del congresso nazionale – in programma a Roma dal 23 al 26 ottobre – titolato non a caso ‘Uno il Paese, uno il Servizio sanitario nazionale, uno il contratto dei medici’. La riforma del sistema è, secondo Calì, ormai inevitabile se si vuole davvero salvare la sanità. E’ necessario rimettere mano alla organizzazione complessiva, facendo un deciso passo indietro sulla regionalizzazione. Ed è altrettanto importante rafforzare il territorio riorganizzando l’emergenza e la presa in carico della cronicità. E c’è poi la questione del contratto. Gli oltre 212mila medici del Ssn, spiega Gianfranco Rivellini, responsabile del Centro Studi Smi, “dal punto di vista contrattuale hanno 4 diverse tipologie di accordi di lavoro. Una frammentazione che porta a non poche difficoltà di riorganizzazione”.
Anche per razionalizzare il costo del lavoro dei medici che tra l’altro, a conti fatti, non è esorbitante. Il costo del lavoro dei camici bianchi pesa, sul Ssn, aggiunge Rivellini, “per circa 17 miliardi di euro, più o meno il 15% del Fondo sanitario nazionale”. ”Arrivare ad un contratto unico per i medici del Ssn – spiega Bruno Caruso ordinario di Diritto del lavoro all’università di Catania, a cui lo Smi ha chiesto di lavorare al progetto – è più che possibile. In fondo già oggi la frammentazione esistente è spesso fittizia sul piano concreto, visto che i professionisti in convenzione sono sempre più integrati nell’organizzazione e che i nuovi medici difficilmente potranno contare sui contratti tradizionali”.
Caruso, in particolare, pensa ad uno schema di contratto concentrico. “L’idea è di un nucleo duro di istituti di tutela comuni (ferie, maternità ecc), seguiti da un nucleo di diritti primari, da uno successivo di diritti armonizzabili e infine un nucleo di diritti che si avvicinano, come potrebbe essere ad esempio la retribuzione”. Questa riforma del contratto “che consentirebbe una più facile integrazione dei compiti, potrebbe essere realizzata anche domani. Il problema sono le resistenze, non solo dei sindacati ma anche degli enti delegati della parte pubblica ai contratti e alle convenzioni, che faticano a cambiare”, conclude Caruso. (Fonte: Adnkronos)