Oggi c’è un’evidente sottostima delle capacità e dei ruoli del personale sanitario che ha portato ad un demansionamento delle competenze ed a una precarizzazione del rapporto di lavoro. Tutto ciò in controtendenza ad una sempre maggiore richiesta di bisogni sanitari che sono cresciuti nella popolazione, nel tempo, in termini di qualità e quantità. Ma la responsabilità è anche dei sindacati.
In economia il marginalismo è una corrente di pensiero economico sviluppatasi tra il 1870 e 1890. La metodologia marginalista è quella che, ancora oggi, dopo il monetarismo esercita maggiore influenza rispetto a quella classica o marxiana. Con il marginalismo si assiste ad un’evoluzione fondamentale della teoria del valore di scambio. Nell’impostazione classica e marxista, ad esempio, è la quantità di lavoro incorporata o cristallizzata nel bene o servizio prodotto quella che definisce il valore di un prodotto, cioè quello che in termini moderni viene definito ”valore aggiunto”.
Invece, in base all’impostazione marginalista, il valore del prodotto riflette il grado di soddisfazione soggettiva che i consumatori attribuiscono ai diversi prodotti. La soddisfazione, o “utilità”, tenderà a diminuire con il consumo di ogni unità aggiuntiva dello stesso bene; Karl Menger in tale ambito introdurrà un principio di imputazione indiretta che rappresenta un primo passo per la teoria della remunerazione dei fattori produttivi in base alla loro produttività marginale.
E’ naturale che queste diverse scuole di pensiero economiche erano proiettate in un mondo predominato da settori produttivi dominanti a quei tempi: l’agricoltura e l’industria.
Il settore produttivo sanitario, nell’attualità recente, è quello che deve dispensare un servizio, altamente sociale, dedicato alla prevenzione, cura e riabilitazione; dette finalità debbono essere svolte in termini di efficienza ed efficacia.
Pertanto l’attività produttiva sanitaria deve trovare un equilibrio economico che minimizzi le risorse immesse nel ciclo produttivo e massimizzi i risultati in termini di quantità dei servizi erogati e qualità delle prestazioni.
Dobbiamo anche rammentare che l’attività sanitaria ha delle particolarità specifiche per il servizi prodotti: l’immaterialità, la non trasferibilità nello spazio e nel tempo del servizio prodotto, l’affezione o la sfiducia del paziente nei confronti di alcune peculiarità (fiducia attribuita ad una equipe medica, qualità delle cure e prestazioni erogate nel territorio, scelta del medico di base).
E’ sacrosanto e vero, come afferma Ivan Cavicchi ( QS 01 Novembre 2014), che il lavoro o la remunerazione degli operatori sanitari deve essere valutata, non in base al costo, ma in base al valore aggiunto immesso nelle prestazioni, che incorpora, oltre il lavoro, specializzazione, esperienza, capacità, organizzazione, sperimentazione, conoscenza ed abnegazione.
Se vogliamo rapportare l’evoluzione dei contenuti salariali nella sanità italiana possiamo affermare che fino agli anni ottanta il concetto remunerativo era basato su una valutazione di costo ora erogato per attività giornaliera (una concezione classica di valore di scambio), mentre negli anni novanta e seguenti non è intervenuto il cambiamento della più attinente concezione marginalista e liberale, in termini di valore di scambio per una riconosciuta e differente professionalità.
L’Ente ospedaliero si è trasformato in Azienda ospedaliera,in questo ambito è stata introdotta una contabilità analitica, la certificazione sulla qualità e la funzionalità dei servizi, diversa organizzazione, tutte queste peculiarità finalizzate alla “soddisfazione soggettiva” del cliente in relazione ai servizi prodotti.
Queste trasformazioni intervenute in questo periodo non sono stata minimamente percepite dai soggetti istituzionali (Governo, Regioni, Parlamento) o da quelli deputati alla contrattazione collettiva (Sindacati).
Questi diversi soggetti hanno continuato a svolgere una politica economica e retributiva sanitaria che ha privilegiato le ”consorterie” legate alla politica a scapito delle politiche di qualificazione o riqualificazioni dell’assetto complessivo sanitario, incluso una diversa remunerazione in relazione alle mutate e più complesse mansioni con ruoli e responsabilità specifiche per gli attori principali del Ssn.
Naturalmente in questa ottica ha prevalso l’unico strumento di logica marginalistica, oggettivamente più favorevole alla controparte, quello di determinare la remunerazione dei fattori produttivi (salario) in base ad una produttività marginale, cioè trovare un punto di equilibrio produttivo ottimale a scapito della dovuta riqualificazione salariare e dell’assunzione di nuovo personale.
Questa situazione consolidata nel tempo ha portato ad una sottostima delle capacità e dei ruoli ad un demansionamento delle competenze ed a una precarizzazione del rapporto di lavoro. Tutto ciò in controtendenza ad una sempre maggiore richiesta di bisogni sanitari che sono cresciuti nella popolazione, nel tempo, in termini di qualità e quantità.
Questo in parte smentisce la teoria marginalistica in cui la soddisfazione, o “utilità”, tenderà a diminuire con il consumo di ogni unità aggiuntiva dello stesso bene, poiché in sanità la soddisfazione del bisogno non ha un andamento decrescente ma sicuramente crescente.(Fonte: Quotidiano Sanità)
Mauro Quattrone
Consulente direzionale forecasts & planning management