Il Sindacato dei Medici Italiani-Smi ritorna su un nodo, ancora irrisolto, relativo al trattamento riservato alle donne-medico convenzionate della medicina generale e del 118 per quanto riguarda la maternità (convenzione o Acn, Accordo collettivo nazionale, cioè un rapporto di para-subordinazione con il Ssn che riguarda tutta la medicina generale, di urgenza-emergenza e del territorio: medici di famiglia, del 118, guardie mediche). Lo Smi denuncia come la legge vigente non “sia uguale per tutti”: non, viene, infatti, riconosciuto dal punto vista normativo ed economico alle professioniste il diritto al riposo per allattamento (ma sono forti le criticità anche per l’adozione e l’affido).
«È una condizione inaccettabile – denuncia Fabiola Fini responsabile nazionale SMI Emergenza Sanitaria Territoriale Convenzionata - che un medico per il semplice fatto di essere un convenzionato sia così pesantemente penalizzato: non si può continuare, per assenza di una norma specifica e chiara, a negare il diritto (anche economico) al riposo per allattamento, che, invece, viene, giustamente, garantito alle colleghe che operano come dipendenti».
«È di grande importanza – spiega- il modo in cui una madre instaura sin dai primi giorni la relazione con il suo bambino: questa presenza e il suo ruolo nei primi mesi di vita del figlio è da tutti riconosciuto come un valore incommensurabile. La stessa sent. n. 1 del 1987 della Corte Costituzionale ha sottolineato questo aspetto della tutela della madre che “non si fonda solo sulla condizione di donna che ha partorito, ma anche sulla funzione che essa esercita nei confronti del bambino”». «Eppure in Italia – continua Fini – le disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità (D. lgs 151/200) prevedono uno specifico trattamento per i riposi giornalieri della madre “lavoratrice”, intendendo, in tal senso, unicamente i dipendenti, compresi quelli con contratto di apprendistato di amministrazioni pubbliche, di privati datori di lavoro nonché i soci lavoratori di cooperative (art. 39 e 2 D. lgs 151/2001)».
«E i medici della Medicina Generale – denuncia – sono forse figli di un Dio minore? Sembrerebbe proprio di sì in termini di tutele e diritti riconosciuti. Ai medici di medicina generale, in virtù della peculiare tipologia del rapporto instauratosi con il S.S.N. all’atto di accettazione della Convenzione, le disposizioni riportate nel Dlgs 151/2001 non si applicano. Sembra un paradosso: una donna medico in quanto convenzionata non può avvalersi, pur essendo madre, di quanto previsto nel D.lgs 151/2001 in tema di diritto alla maternità e riposi per l’allattamento, che sia di Assistenza Primaria (è il medico di famiglia), di Continuità Assistenziale (la guardia medica) o di Emergenza Sanitaria Territoriale-118 viene, di fatto, discriminata, potendo in caso di maternità percepire esclusivamente la relativa indennità, corrisposta dal suo ente previdenziale obbligatorio ovverossia dall’ENPAM in favore dei liberi professionisti (non è neppure automatico, è necessario presentare apposita domanda), ma nulla in termini di riposi per allattamento. E’ gravissimo». «Forse il Legislatore – sottolinea la dirigente Smi – ha ipotizzato, sbagliando, che le donne medico convenzionate abbiano un sistema di autogestione dell’attività libero-professionale tale da consentire di scegliere liberamente modalità di lavoro, così da conciliare le esigenze professionali con il prevalente interesse del figlio. Falso! È difficile sostenere, ad esempio, che una professionista del 118 convenzionata a 38 ore settimanali, con un’attività coordinata e continuativa giornaliera a bordo delle ambulanze, sulle auto-mediche, nei pronto soccorso, possa riuscire a conciliare le esigenze lavorative con il sacrosanto diritto del figlio a stare nelle braccia della sua mamma e di essere allattato nel corso del primo anno di vita!».
«Infine – conclude Fabiola Fini - ricordiamo che il medico convenzionato è, ad oggi, pesantemente discriminato anche per il diritto di adozione e affido. Per quanto riguarda, inoltre, chi opera nel 118 e nella guardia medica anche per il mancato riconoscimento della propria attività come usurante.
Quindi, rivolgiamo un appello all’Enpam: in attesa che si vari una norma ad hoc: con la vigente legislazione una prima risposta al problema possa essere data da quanto previsto all’articolo 99 comma 2 dell’ACN , in materia di contributi previdenziali ed assicurazione contro i rischi derivanti dall’incarico, includendo nella gamma degli eventi assicurati il riposo per allattamento con le relative conseguenze economiche. Siamo ancora ben lontani in merito dalla parità di diritti, ma così l’ENPAM garantirà a una mamma la specifica indennità dovuta per i riposi giornalieri per allattamento (estendendo le coperture assicurative e le conseguenze economiche previste all’articolo 99 comma 2 dell’ACN)». (Fonte: Sindacato dei Medici Italiani)