Mentre dalla Cabina di regia della Regione Lazio vengono rilasciate dichiarazioni rassicuranti circa il ridimensionamento dell’iperafflusso nei Pronto Soccorso della capitale, gli addetti ai lavori registrano, invece, tutt’altra realtà. E i motivi sono sempre i medesimi: riduzione dei posti letto, mancanza di personale medico e delle professioni sanitarie, aumento dell’età media della popolazione e annesse pluripatologie, con una escalation di richiesta di salute.
A fronte di questa situazione a dir poco drammatica, si continua a optare per scelte “tampone” che, ovviamente, non puntano a risolvere radicalmente le questioni, ma a rimandare a oltranza una vera e propria riorganizzazione di tutto il sistema sanitario, così da rendere sempre più complessa la gestione dei Lea. Infatti, la soluzione “tampone” proposta dalla Regione, è quella di trattenere i pazienti in ospedale il tempo indispensabile (48 ore) per risolvere la fase acuta, per poi trasferirli nelle strutture convenzionate che afferiscono all’Aiop, cui è stato chiesto di mettere a disposizione posti letto di medicina. E questa non è certo la soluzione migliore.
In primis perché i medici vengono sottoposti ad una scelta obbligata che non è deontologica, sia perché i pazienti vengono sottoposti ad un ulteriore stress che certo non giova alla risoluzione dei problemi di salute. Inoltre, le strutture convenzionate, spesso non sono in grado di fornire quell’assistenza necessaria nel post-acuzie, in quanto anche loro privi di personale sufficiente, di medici specialisti in cardiologia o in anestesia, e privi di strutture di laboratorio o radiologiche. Insomma, si tratta di un circolo vizioso poiché, ad ogni minimo problema, la struttura convenzionata chiama il 118 per richiedere un trasferimento urgente in Pronto Soccorso impegnando, così, anche la preziosa risorsa territoriale del 118 che, una volta in Pronto Soccorso, viene bloccata per la mancanza di barelle.
Tanto per dare un esempio sui bisogni di salute della sola città di Roma e Provincia, dal 1° gennaio 2015 all’Ares 118 sono arrivate circa 23.143 chiamate, mentre nella zona di Roma-nord, sempre dal 1° gennaio, il numero di pazienti che ha avuto accesso al Pronto Soccorso del Policlinico Gemelli (Dea di II livello) è pari a 5.777, quello del San Filippo Neri (ospedale territoriale) è di 2.326, all’Aurelia Hospital (struttura convenzionata accreditata) è pari a 1.439, con pazienti che aspettano in sala d’attesa, a volte anche in piedi, altri sulle barelle del 118. I “più fortunati” aspettano sulle barelle in corridoio, con una promiscuità che non è ammissibile per un paese civile, e questo succede in tutti gli ospedali del Lazio. I numeri, tra l’altro, parlano da soli ed è bene sottolineare che, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, non c’è stata alcuna riduzione. Anche la soluzione “tampone” di ridurre i posti letto di chirurgia in favore di quelli di medicina non garantisce alcuna soluzione.
Bisogna avere consapevolezza che il paziente deve essere trattato per tutto il tempo necessario e nel reparto adeguato, con gli specialisti del caso, informandolo adeguatamente sul decorso e sulle possibili complicanze. Questo è un iter che richiede tempo, che non può certo essere imposto dai dettami dalla politica ma, esclusivamente, dalla nostra etica professionale. Dobbiamo riprenderci il ruolo di medici. Abbiamo una grande responsabilità nella diagnosi e cura dei pazienti e non possiamo essere limitati nella nostra azione quotidiana dai problemi di budget. Non è questo il nostro ruolo, ed è ora di gridarlo forte e chiaro, perché si sta perdendo di vista un punto focale: il paziente deve essere al centro del sistema. Puntiamo anche a ripristinare l’alleanza tra medico e paziente che si sta pian-piano affievolendo. Questo, tra l’altro, porta sicuramente ad una riduzione dei costi perché l’aumento della compliance da parte del paziente eviterebbe sprechi nella spesa farmaceutica, nonché l’uso improprio di strutture, quali Pronto Soccorso e 118.
La soluzione, dunque, quale potrebbe essere? Sicuramente aumentare i cosiddetti OBI (letti di breve osservazione, che non verrebbero annoverati in quel 3,1 posti letto della media nazionale). Ma anche, e soprattutto, l’assunzione di personale, sia medico che delle professioni sanitarie, ancorché con contratto a tempo determinato. Ma, al tempo stesso, sollecitando il ministero della Salute e il Mef a sbloccare il turn-over. Senza dimenticare una buona educazione sanitaria, che porti ad una corretta informazione alla popolazione sull’utilizzo di strutture sanitarie al momento opportuno, ed un maggior coinvolgimento dei medici di Medicina Generale; non solo attraverso l’aumento dell’orario di lavoro di sabato e domenica con il recente accordo regionale sui poliambulatori e sulle “Case della Salute”, ma anche nel coinvolgimento dei medici a divulgare la cultura sanitaria. E, infine, il coraggio da parte della politica di dire una volta per tutte che non ci sono le coperture economiche sufficienti per tutti: il ticket per i codici bianchi e verdi va messo anche al Pronto Soccorso e all’Ares 118. In altre Regioni definite virtuose questo viene fatto da anni e, senza dubbio, tale scelta ha garantito un contributo alla virtuosità del sistema, senza creare squilibri sociali. (Fonte: Quotidiano Sanità)
Francesca Perri
Vice-segretario Smi-Fvm Lazio