Il confine tra medico e infermiere passa tra due generi diversi di cognizioni o intellettualità. In un accordo andrebbe sancito che la cognizione clinica è il dominio del medico e al medico va quel “poter fare” che si chiama “governo clinico”. Mentre la cognizione della cura è il dominio dell’infermiere e all’infermiere va quel “poter fare” che definisco “gestione integrata della cura”
Nell’articolo precedente abbiamo ascoltato le ragioni dei malati, degli infermieri e dei medici e abbiamo proposto al ministero della Salute, ma anche alle professioni, di concordare un documento di intenti.
In estrema sintesi:
· il malato vuole essere trattato e assistito in modi diversi rispetto al passato,
· i medici vogliono la titolarità incondizionata del governo clinico,
· gli infermieri vogliono passare dalla post ausiliarietà alla ex ausiliarietà.
Come fare? Il comma 566 se interpretato con lo spirito dell’accordo sulle competenze avanzate, ci porta fuori strada:
a malato sottointeso nella sua invarianza …lo status professionale dei medici e degli infermieri cambia in modo marginale cambiando marginalmente i compiti da svolgere.
L’approccio marginalista lascia tutto sostanzialmente invariante. Per cambiare ci vuol ben altro, che si fa?
Sulla base del documento di intenti ci si dovrebbe accordare su tre semplici postulati:
· assumere il malato come principale explandum per la ridefinizione degli status professionali in modo che né i medici né gli infermieri definiscano le loro faccende in modo auto referenziale
· assumere i poteri dei soggetti professionali non lecompetenze, come terreno di mediazione e di cambiamento dei paradigmi professionali
· assumere l’organizzazione del lavoro come il mezzo attraverso il quale garantire in modo compossibile, tanto al malato che al medico e all’infermiere, ciò che chiedono.
Spostare il tiro dalle competenze ai poteri significa spostare:
· il tiro dalle “cose da dover fare” alle “possibilità di chi fa” quindi alle “cose da poter fare”
· l’attenzione dalle competenze e dagli atti…agli agenti e quindi entrare nella logica degli autori.
E’ molto burocratico ritenere, come fa il comma 566, la L. 42 o l’atto medico, che una competenza e un atto siano definibili in modo indipendente dalle caratteristiche dell’agente e dalle caratteristiche del setting di lavoro reiterando la solfa della formazione. Molto più realistico è definire “cosa fare” attraverso “chi fa e dove e come lo fa” (reticolo professionale). Ma il “poter fare”, quindi le autonomie delle professioni, non si possono definire in modo indipendente una dall’altra ma si devono definire in modo correlato perché le loro prassi debbono rispettare una sintassi (“sun taxis” significa “con ordine“) cioè un ordine di successione delle prassi. La cura e l’assistenza di un malato proprio come un discorso deve mettere in successione tanti tipi diversi di argomenti: si parte da quelli del malato…che diventano le premesse del discorso medico…che a loro volta diventano le premesse per quelle dell’infermiere ecc.
Siccome immagino l’obiezione di certi infermieri integralisti che conosco, e che vorrebbero una autonomia assoluta dal medico e quindi separare la clinica dall’ assistenza, chiarisco, a loro beneficio, che la sintassi non ha una logica gerarchica ma definisce semplicemente cosa devo fare prima e cosa devo fare dopo…prima ad esempio devo fare una diagnosi… poi posso fare una terapia… ma questo non vuol dire che la terapia è “meno centrale” della diagnosi ecc. Altra cosa è, nel rispetto delle regole sintattiche, “come faccio” quello che devo fare. In nessun modo è auspicabile rompere le regole della sintassi del lavoro perché si avrebbero delle prassi disconnesse caotiche o incomunicanti.
Propongo quindi al ministero della Salute, e alle professioni, di cercare un accordo sul terreno del “poter fare” per definire:
· dei confini tra i poteri di autonomia
· i poteri di autonomia in termini di prescrizioni proscrizioni engagement.
Per i confini ci aiuta Popper con il suo famoso “principio di demarcazione”. Si tratta semplicemente di distinguere i professionisti, cioè il medico e l’infermiere, con dei criteri che definiscano non tanto “cosa fanno” ma “chi è” l’uno e chi è l’altro. Si da per scontato che sussistendo una forte differenza ontologica tra le due professioni sussistano anche ovvie differenze nelle prassi. Da sempre sostengo che le definizioni burocratiche che definiscono le professioni definendo i loro compiti hanno fatto il loro tempo. Per me per definire dei confini veri ci vogliono dei reticoli professionali che integrino tutti gli explananda che effettivamente definiscono una professione nella sua realtà (deontologia, formazione, esperienza, abilità, organizzazione, contesto).
Detto ciò per me il confine tra medico e infermiere passa tra due generi diversi di cognizione, cioè tra due diverse capacità cognitive o se si preferisce tra due generi diversi di intellettualità:
· la cognizione clinica in tutte le sue forme e specializzazioni
· la cognizione assistenziale in tutti i modi possibili e in tutti i luoghi possibili.
Più precisamente:
· la cognizione clinica va intesa come il governo di un certo grado di complessità scientifica, relazionale e sociale
· la cognizione assistenziale va intesa come la gestione integrata della presa in carico del malato nella sua interezza, quindi come cura di un altro grado di complessità ma legato ai bisogni estesi del malato quelli compresi tra la terapia in tutti i sensi, la cura della persona in tutti sensi ,i rapporti e le relazioni ecc. Assistenza è un concetto che per me deve evolvere in “cura”.
Ciò detto nell’accordo si dovrebbe decidere che:
· la cognizione clinica è il dominio del medico e al medico va quel “poter fare” che si chiama “governo clinico”
· la cognizione della cura è il dominio dell’infermiere e all’infermiere va quel “poter fare” che definisco “gestione integrata della cura”.
Governo ai medici e gestione agli infermieri. Chi governa “regge il timone” (gubernare) chi gestisce ha una autonoma gerenza funzionale di tutto quello che si deve organizzare e fare per curare un malato nelle diverse situazioni possibili dall’ospedale al domicilio al distretto al luogo di vita. La gestione della cura è uno scopo del secondo ordine cioè “la presa in carico della presa in carico” per cui non va ridotta e confusa con management.
Stabiliti i confini tra governo clinico e gestione della cura, cioè tra due agenti professionali diversamente intellettuali, si tratta di definire, sempre nell’accordo, i loro ambiti operativi sostituendo gli storici rapporti di ausiliarietà con nuovi rapporti tra autonomie correlate.
Si tratta quindi di:
· definire in modo prescrittivo gli impegni professionali dei medici e degli infermieri in vario modo (ruoli, compiti, funzioni, obiettivi, ecc.)
· arricchire le definizioni prescrittive lasciando in modo proscrittivo dei margini per adattare meglio gli impegni professionali alle complessità che dovranno o governare o gestire.
Queste le differenze tra prescrizione e proscrizione:
· il profilo, l’atto, la competenza, la mansione sono tutte forme di prescrizioni del fare, cioè elenchi di cose da “dover” fare, per le quali vale il principio che “ciò che non è esplicitamente permesso è vietato”. Ma quando le regole prescritte per le prassi si applicano a malati poco prevedibili e a contesti sempre più complessi esse fanno acqua da tutte le parti …e il malato ci rimette perché le professioni non hanno sufficiente autonomia per governare le complessità contingenti
· per ovviare a questi inconvenienti conviene integrare le descrizioni del “dover fare” con il principio proscrittivo, del “poter” fare: “ciò che non è espressamente vietato è a certe condizioni giustificate dalle necessità del malato e del contesto ,permesso”. Questo è un modo per valorizzare e accrescere le autonomie rendendole più flessibili nei confronti della complessità.
L’insieme del “dover fare” e del “poter fare” ci permette di andare ben oltre la logica delle competenze e di parlare finalmente non di compiti ma di impegni non di competenze ma di condotte professionali possibili da definire attraverso accordi locali tra le professioni titolari e l’azienda. Il principio di proscrizione quindi apre le definizioni chiuse di professione e permette di definire in modo decentrato e consensuale condotte professionali più ricche. Molte sono le cose che per proscrizione possono fare sia i medici che gli infermieri.
Nella pratica si è come creata una “terra di nessuno” nella quale le professioni sono ambigue e ambivalenti, alcune fanno più di ciò che è prescritto altre fanno meno. Ebbene con la proscrizione questa situazione può essere chiarita. La questione comprende un mucchio cose che non voglio elencare per non impantanarmi nei dettagli
Ma ai fini di un accordo efficace è sufficiente definire delle condotte professionali per i medici e per gli infermieri?Purtroppo no, serve correlarle…perché tali condotte non possono essere agite in modo autoreferenziale. Cioè abbiamo bisogno di engagement che tradotto in italiano significa “coinvolgimento”. Esso misura il grado di integrazione e di coesione di un setting organizzato per autonomie o il grado di relazionalità di due professioni relativamente autonome ed ha lo scopo di creare “legami” forti”.
E’ possibile distinguere il governo clinico/gestione della cura come due ambiti autonomi dello stesso setting solo se vi è engagement. E in funzione dell’engagement l’accordo dovrebbe stabilire:
· ciò che è esclusivo del governo clinico e ciò che esclusivo della gestione della cura
· ciò che è comune ad entrambi.
Rientrano nelle prerogative di ciò che è comune a medici e infermieri: le metodologie, la programmazione del lavoro, la condivisione degli obiettivi, la verifica dei risultati, l’informazione reciproca, la consultazione, la second opinion, la vicarianza situazionale transitoria, ecc.
Anche questo articolo è venuto lungo (troppo) senza essere riuscito a completare la mia proposta. Mi scuso ma entrare nel merito e essere di poche parole non è semplice. Un accordo serio non può non affrontare la questione dell’organizzazione del lavoro. Ci vuole un altro articolo. (Fonte: Quotidiano Sanità)
Ivan Cavicchi