Dipendenti PA. Niente obbligo di permessi orari per visite ed esami medici. Tar boccia Ministero

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Accolto ricorso della Flc Cgil. I giudici: “L’utilizzo imposto immediatamente di tale tipo di permessi comporterebbe indubbiamente uno sconvolgimento nell’organizzazione di lavoro e personale del dipendente”. Sollecitata una “revisione della disciplina contrattuale”. LA SENTENZA DEL TAR LAZIO.

Per visite ed esami dipendenti della Pa non devono utilizzare obbligatoriamente i permessi orari. Lo ha stabilito una sentenza del Tar del Lazio che ha accolto il ricorso della Flc Cgil contro la circolare del Ministero della Pubblicazione amministrazione in merito all’applicazione dell’art. 55-septies, comma 5 ter, d.lgs. n. 165/2001, come introdotto dall’art. 16, comma 9, l. n. 111/2011 e successivamente modificato dall’art. 4, comma 16 bis, d.l. n. 101/2013, conv. in l. n. 125/2013, che prevede come “Nel caso in cui l’assenza per malattia abbia luogo per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il permesso è giustificato mediante la presentazione di attestazione, anche in ordine all’orario, rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione o trasmessa da questi ultimi mediante posta elettronica”. Mentre la precedente legge “prevedeva invece l’espressione “l’assenza è giustificata” in luogo di quella “il permesso è giustificato” e dopo le parole “di attestazione” non prevedeva l’espressione “anche in ordine all’orario”.

Il caso. Nella circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica si precisa che “per l’effettuazione di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il dipendente deve fruire dei permessi per documentati motivi personali, secondo la disciplina dei CCNL, o di istituti contrattuali similari o alternativi (come i permessi brevi o la banca delle ore)…”. E a tale osservazione seguivano poi ulteriori indicazioni in merito alle modalità di compilazione dell’attestazione in questione”.
 
Contro la misura si è schierata la Flc-Cgil che “evidenziava che il personale si era domandato subito se per l’espletamento delle prestazioni indicate dalla norma era necessario richiedere un “permesso” ovvero, previa certificazione medica, un giorno di assenza per motivi di salute, nelle ipotesi di prestazione diagnostica non legata ad uno stato di malattia temporaneamente invalidante, tenuto conto delle diverse conformazioni dei permessi orari complessivi previsti per i vari comparti, di cui faceva una ricostruzione succinta”.
 
In particolare, secondo la ricostruzione della Federazione con riferimento al comparto scuola, in base alla circolare “il relativo personale sarebbe stato costretto a utilizzare i tre giorni annui di permessi personali o, per patologie gravi con terapie e trattamenti lunghi, a chiedere giorni di ferie”.
 
Su queste basi il Tar del Lazio ha riconosciuto in primis che “da un punto di vista sistematico, la novella in questione è stata disposta perché si erano spesso riscontrate anomalie nel ricorso all’istituto della “assenza per malattia” da parte di pubblici dipendenti in caso di visite specialistiche o di terapie di breve durata”.
 
Ma ha tuttavia evidenziato che “ciò non toglie, comunque, che in caso di effettiva patologia e in ogni altro caso in cui il medico curante, a sua discrezionale valutazione tecnica, ritiene una (sia pure temporanea) inabilità al lavoro del dipendente, l’assenza è giustificata a titolo di malattia con la produzione della relativa attestazione e tale circostanza si manifesta certamente ogni qual volta il dipendente debba effettuare esami diagnostici, terapie, visite e il medico curante ritenga sussistente uno stato patologico o gli esami e le terapie abbiano essi stessi carattere invalidante”.
 
Sotto questo profilo, quindi, per il Tar “può concludersi nel senso che la volontà del legislatore, nell’utilizzare la parola “permesso” in luogo di “assenza”, non può che essere ricondotta all’istituto giuridico rappresentato dai “permessi” e non all’istituto dell’assenza per malattia, in quanto la necessità di sottoporsi ad una visita o ad un controllo medico non necessariamente presuppone la presenza di una patologia in atto e quindi di una certificazione medica che la attesti. Ne consegue, però, che non può ritenersi, come invece desumibile dalla circolare impugnata, che il riferimento ai “permessi” debba essere inserito “sic et simpliciter” nell’ambito della normativa contrattale collettiva vigente, senza alcuna modifica e/o integrazione”.
 
Infatti il Tar ha rilevato che “l’utilizzo imposto immediatamente di tale tipo di permessi comporterebbe indubbiamente uno sconvolgimento nell’organizzazione di lavoro e personale del dipendente che ben potrebbe aver già usufruito di tali forme di giustificazione di assenza, confidando di poter avvalersi dell’ulteriore modalità di “assenza per malattia” prima prevista dalla conformazione della richiamata norma e del CCNL applicabile o, viceversa, non potrebbe più avvalersi di tali “permessi” per documentati motivi personali” diversi dallo svolgimento di terapie, visite e quant’altro.
 
Inoltre è stato evidenziato che la norma “in esame non può avere un carattere immediatamente precettivo ma deve comportare, per la sua applicazione anche mediante atti generali quali circolari o direttive, una più ampia revisione della disciplina contrattuale di riferimento”
 
“Ne consegue, quindi, – si legge nella sentenza – che la circolare impugnata, operando direttamente nei confronti delle Amministrazioni pubbliche, è illegittima per quanto dedotto essenzialmente e in misura assorbente nel primo motivo di ricorso, in quanto la materia oggetto della novella trova il suo naturale elemento di attuazione nella disciplina contrattuale da rivisitare e non in atti generali che impongono modifiche unilaterali in riferimento a CCNL già sottoscritti” . (Fonte: Quotidiano Sanità)