La telenovela sul diritto dei medici specializzandi ad ottenere il risarcimento del danno continua . La Cassazione, infatti, con ordinanza interlocutoria di ieri (n.23652) , ha rimesso gli atti al Primo presidente per l’ assegnazione alle Sezioni Unite. Al centro della vicenda, il ricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri che ha chiesto l’annullamento della pronuncia della Corte di appello di Palermo che aveva applicato ai medici specializzandi ricorrenti il termine di prescrizione di 10 anni dall’entrata in vigore della legge n. 370/99. Gli specializzandi, che avevano frequentato le scuole universitarie di specializzazione di medicina prima dell’entrata in vigore del Dlgs n. 257/91, chiedevano la remunerazione o il risarcimento del danno per il periodo di frequenza antecedente al Dlgs 257/91 per il mancato adempimento degli obblighi Ue derivanti dalle direttive 75/362 e 82/76. I giudici di secondo grado avevano accolto la richiesta limitando il risarcimento agli anni dal 1982/83 al 1990/91, applicando la prescrizione decennale. Il Governo era stato condannato a versare 6.713 euro a ciascun ricorrente. Di qui l’impugnazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nodo della vicenda non solo la corretta interpretazione del diritto Ue ma, soprattutto, l’estensione o meno del risarcimento del danno per inadempimento del diritto Ue prima del 1983.
La Cassazione, nell’ordinanza di ieri, propende per la tesi secondo la quale lo Stato italiano deve essere considerato inadempiente dal 1983 non avendo attuato le direttive, ma non prima perché non era ancora scaduto il termine di recepimento degli atti Ue. Non solo. Tenendo conto che il corso di specializzazione va considerato in modo unitario, nello sviluppo pluriennale, senza possibilità di un frazionamento della disciplina, per i corsi avviati prima del 1983, lo Stato non è inadempiente neanche per gli anni successivi nei confronti di chi si è iscritto prima del 1983. Per la Suprema Corte i medici non sono stati danneggiati e non vi è stato alcun inadempimento. D’altra parte – osserva la Cassazione – anche il principio del primato del diritto dell’Unione non comporta l’estensione della disciplina ai corsi già avviati. Diverso il discorso per i corsi successivi al 1983 per i quali sussisteva un obbligo di adempimento alle direttive Ue. Nella prima ipotesi, esclusa l’antigiuridicità del comportamento statale, la Cassazione propende per l’esclusione del riconoscimento della remunerazione così come nega l’ipotesi di una discriminazione tra specializzandi considerato che per quelli iscritti prima del 1983 le regole da applicare sono quelle esistenti al momento di avvio del corso per l’intera sua durata, tenendo conto altresì delle esigenze di finanza pubblica «che hanno consentito l’evidente gradualità temporale nel complessivo adeguamento dell’ordinamento nazionale alla normativa comunitaria».
Una conclusione diametralmente opposta rispetto a quella raggiunta il 2 settembre scorso (sentenza 17434) con la quale la Cassazione aveva allargato la platea degli aventi diritto al compenso agli immatricolati alle scuole di specializzazione prima dell’83. La Suprema corte sosteneva che la limitazione ai soli medici iscritti a partire dal 31 dicembre 1982 non trova riscontro nelle direttive ed è in contrasto con il principio di applicazione retroattiva e completa delle misure di attuazione delle norme comunitarie. Un orientamento che, se confermato, farebbe lievitare ben oltre i 4 miliardi attualmente stimati, i risarcimenti dovuti dallo Stato. Il rischio ha indotto i governi a considerare il ricorso ad un rimborso forfettario da stabilire per legge. I disegni di legge sono però fermi e nel 2014 sono già stati riconosciuti rimborsi per circa 400 milioni di euro. Ora la parola passa alle sezioni unite. (Fonte: Sole24Ore Sanità)