In questi tempi di controlli (e sanzioni) sulle prescrizioni, spesso condotti con spirito burocratico e poco ragionevole, puo’ essere utile ricordare una sentenza della Corte dei Conti che gia’ nel 2006 riconosceva che in certi casi e’ possibile derogare dal Piano Terapeutico senza che cio’ costituisca illecito sanzionabile.
La sentenza si riferisce in particolare a una prescrizione di ossigeno terapeutico ma esprime principi che sono generalizzabili. Il Piano Terapeutico della struttura pubblica non e’ tassativo ma puo’ consentire delle deroghe. La violazione non costituisce errore gravemente colposo, ma semplice irregolarita’ amministrativa se giustificabile dalle condizioni cliniche del paziente.
I fatti: veniva convenuta in giudizio presso la Corte dei Conti della Liguria un medico di base convenzionato, a cui veniva contestato di aver effettuato prescrizioni di ossigeno liquido a favore del proprio assistito in eccedenza rispetto ai piani terapeutici formulati dalle competenti strutture sanitarie ospedaliere.
Il medico, a propria difesa, sottolineava diversi problemi tecnici (caratteristiche dei contenitori e della valvole, temperatura ambientale, la fisiologica dispersione del gas ecc.) che interferivano con l’ effettivo consumo dell’ ossigeno liquido, nonche’ i problemi clinici legati alle frequenti riacutizzazioni della patologia polmonare, che causavano un maggior consumo rispetto a quanto pianificato.
La Procura riteneva insufficienti tali argomentazioni e, ritenendo il medico colpevole di danno erariale, ne richiedeva il rimborso.
Secondo la Procura, il medico che non osserva le disposizioni stabilite nel P.T. pone in atto un comportamento caratterizzato da errore professionale gravemente colposo, in quanto rientra nella minima diligenza e perizia effettuare prescrizioni farmaceutiche in conformità ad un programma terapeutico contenente indicazioni estremamente precise come quello relativo al caso in esame.
La difesa evidenziava invece, richiamandosi alla giurisprudenza della Corte dei Conti, che le prescrizioni di ossigeno da parte del medico di base, in eccedenza rispetto alle quantità previste nel piano terapeutico, non costituiscono di per sé fonte certa di danno per la finanza pubblica. Tale scostamento diventa dannoso solo se ingiustificato e non corrispondente al fabbisogno del paziente, per cui l’esistenza di un danno va apprezzata con riferimento alle reali necessità dell’assistito.
La Corte accoglieva la tesi difensiva.
La Corte, nell’ esame del caso, rilevava infatti che “
l’’art. 7 del D.M. 1° febbraio 1991 prevede che l’accertamento delle patologie che determinano l’insufficienza respiratoria cronica “deve essere operato esclusivamente nelle strutture universitarie o nelle strutture ospedaliere ed ambulatoriali a gestione diretta o convenzionate obbligatoriamente”. Aggiunge poi il menzionato D.M. che “dette strutture provvedono, altresì a fornire alla valutazione dei medici curanti gli indirizzi terapeutici che si riconnettono alla suddette forme morbose… la chiara formulazione letterale dell’art. 7 del D.M. 1° febbraio 1991 sembra riconoscere al medico di base una certa discrezionalità nella prescrizione dei trattamenti di ossigenoterapia, atteso che la norma prevede che gli indirizzi terapeutici elaborati dalle predette strutture siano offerti alla valutazione dei medici curanti.”.
“In ogni caso,-specifica la Corte-
quand’anche si volesse accedere alla tesi della Procura… è evidente che il superamento dei limiti autorizzati non comporta necessariamente un danno alla finanza pubblica. Occorre infatti che i quantitativi prescritti siano eccessivi rispetto alle reali necessità terapeutiche del paziente. In caso contrario, la prescrizione del farmaco in misura adeguata alle necessità dell’assistito, ancorché disposta in violazione di autorizzazioni a carattere interno, non comporta danno, bensì mera irregolarità amministrativa. Nel caso di specie la Procura si è limitata a dimostrare il superamento dei quantitativi “autorizzati”, ma non ha fornito alcun concreto elemento dal quale si possa desumere l’inutilità o la dannosità del trattamento erogato in eccedenza.
In un quadro patologico così compromesso, non è chi non veda, al di là del responso dei dati emogasanalitici su cui si è basato il secondo piano terapeutico, la legittimità di un trattamento ossigenoterapico esteso alle 24 ore al giorno, se ciò può essere utile, non fosse altro che per ragioni umanitarie, a lenire la sofferenza di un malato terminale.
D’altra parte, come è stato sopra evidenziato, è la legge stessa che assegna ai piani terapeutici il carattere di indicazioni da fornire “alla valutazione dei medici curanti”, riconoscendo a questi ultimi, che operano a diretto contatto con il malato e hanno la visione complessiva delle sue reali condizioni, fisiche, ambientali e psicologiche, quel margine di discrezionalità nella valutazione degli indirizzi terapeutici provenienti dalle competenti strutture sanitarie, che consenta loro di adottare le soluzioni terapeutiche che meglio si attagliano alla fattispecie concreta.”
In base a tali considerazioni il medico e’ stato assolto da ogni addebito.
Daniele Zamperini – Guido Zamperini (5/2006)