Si è svolta a Roma, lo scorso 8 giugno a Palazzo Colonna, la VI edizione del WelfareDay, un evento finalizzato a promuovere riflessioni ed interventi sul ruolo della Sanità Integrativa nella ridefinizione complessiva del Servizio Sanitario Nazionale e Regionale. Data l’importanza degli argomenti trattati, soprattutto in relazione al possibile impatto sull’attuale processo si riordino del sistema delle Cure primarie, il vice Segretario dello SMI Lazio Ermanno De Fazi, ha ritenuto essenziale partecipare e darne sollecita informazione agli iscritti.
La giornata si è aperta con uno videospot pubblicitario sulle soluzioni assicurative in materia sanitaria: “Una cosa è scaldare, altra è dare calore; Una cosa è sfamare, altra è nutrire; Una cosa è prendersi cura, altra è assicurare”. Questo messaggio evidenzia un diverso modo di utilizzare il termine “welfare” in ambito pubblico e privato: nel primo caso abbiamo un insieme di politiche che convergono verso un unico obiettivo, nel secondo caso vi è un insieme di obiettivi coerenti tra loro e garantiti dal medesimo strumento operativo. Dai dati emersi, la Sanità Integrativa è in progressiva crescita vantando un’autonomia negoziale, in assenza di una legislazione dedicata, e basandosi su un modello di protezione definito “inclusivo”.
La spesa complessiva che la Sanità integrativa ha realizzato nel 2015 vale 34,5 miliardi di euro, esattamente il 24% di quanto lo Stato investe nella Sanità Pubblica.
Secondo il CENSIS, il 45% dei cittadini afferma che la Sanità Regionale è peggiorata negli ultimi due anni, nonostante l’Italia abbia una sanità tra le più performanti in Europa. Il principale motivo d’insoddisfazione è l’allungamento delle liste d’attesa. Inoltre il 45,4 degli italiani afferma di aver riscontrato ticket uguali o inferiori a quelli del SSN. Nell’ultimo anno, dato allarmante, 11 milioni di cittadini hanno rinviato o rinunciato alle prestazioni sanitarie pubbliche (ora si parla di Sanità negata).
Gli italiani che ritengono con sicurezza di aver avuto prescrizione di farmaci, di visite ed accertamenti inutili sono circa 5,4 milioni; 7,1 milioni sono ricorsi all’attività intramoenia. Il dato preoccupante è che, tra questi, il 48,7% si ritiene favorevole alla applicazione di sanzioni verso i medici che prescrivono in modo inappropriato.
I cittadini, che finora hanno aderito a programmi assicurativi di sanità integrativa con una media annua di spesa di 568,7 euro pro capite (e 1924,70 euro pro nucleo), hanno dato valore ai seguenti principi: possibilità di rimborsi; estensione della polizza al nucleo famigliare; assistenza continuativa 24h al giorno per 7 giorni a settimana; esistenza di un network di strutture convenzionate; incentivi fiscali.
Come affermato dal Prof. Mario Del Vecchio dell’Università Bocconi di Milano, Professor of Public Managment and Policy, la Sanità Integrativa può e deve investire nella “prevenzione e diagnosi precoce” al pari della Sanità Pubblica, ponendo fine al monopolio economico di quest’ultima. Queste affermazioni sono state rese in assenza del Ministro della Salute Lorenzin, il cui intervento era previsto successivamente dopo la serie degli interventi tecnici. Ciò che la Sanità Integrativa chiede ora è una serie di riconoscimenti come la certificabilità delle prestazioni, la reciproca valorizzazione tra pubblico e privato, la portabilità degli investimenti (come per i gestori telefonici) e la possibilità di partecipare ai tavoli tecnici Regionali per la programmazione sanitaria. Infine, si afferma che lo scenario prospettato prevede, senza ombra di dubbio, una progressiva ed inesorabile attuazione del principio sancito dall’Unione Europea secondo il quale gli obiettivi di sanità pubblica devono essere efficacemente raggiunti con la piena sinergia tra enti pubblici e privati, nel rispetto di alcuni obiettivi definiti e condivisi.