Prot.58/2022
Sistema Sanitario Nazionale Pubblico, Universale, Integrato: il progetto SMI per il Lazio
La pandemia ha costretto tutti gli operatori del Sistema Sanitario Nazionale, logorato da venti anni di erosione progressiva degli stanziamenti, ad affrontare grandi difficoltà organizzative, logistiche e turni massacranti.Durante l’emergenza, il senso di responsabilità e lo spirito di servizio dimostrati da tutto il personale del SSN, insieme alle iniziative emergenziali poste in essere dal Governo, del Ministero della Salute, dalle Regioni, dal CTS, e della Protezione Civile, che hanno provveduto con misure straordinarie e con decisioni spesso strategiche a colmare le carenze esistenti, hanno consentito all’Italia di superare con grande onore il periodo più difficile del dopoguerra, facendola diventare anche un esempio per gli altri Paesi.
Non si ha memoria, negli ultimi decenni, di un tale senso di comunità: gli operatori del SSN hanno mostrato la dedizione e il senso di appartenenza dei lavoratori pubblici e tutto il Sistema Paese si è distinto per la sua opera di collaborazione con le istituzioni, collaborazione che si è dimostrata fondamentale nel Paese frammentato delle 20 differenti Sanità regionali, frutto di un decentralismo che ha evidenziato tutte le sue falle.
Adesso è arrivato il momento di mettere in campo una grande riforma strutturale del SSN, che abbia l’ambizione non solo di rimediare alle carenze evidenziate dalla pandemia, ma che sia il motore di una nuova consapevolezza di tutta la società italiana del proprio diritto costituzionale alla salute, intesa come benessere psico-fisico economico e sociale.
Solo una grande azione politica, da parte di donne e di uomini di buona volontà, potrà e dovrà farsi carico di ripensare il SSN, trasformandolo in un sistema virtuoso e trainante dell’economia e del benessere sociale.
La salvaguardia del Sistema Sanitario Nazionale, Pubblico, Integrato e Universale e il proficuo impiego dei fondi del PNRR possono compiersi se si realizzano tre obiettivi fondamentali:
- valorizzare il capitale umano dipendente e convenzionato del SSN, esaltandone le professionalità, garantendone aggiornamento e formazione di qualità
- dare piena attuazione all’integrazione socio-sanitaria, mettendo al centro il cittadino con tutti i suoi bisogni socio-sanitari
- promuovere l’equità di accesso alle cure e ridurre le diseguaglianze esistenti tra i vari Sistemi Sanitari Regionali.
La realizzazione delle Case della Comunità e degli Ospedali di Comunità, con in fondi del PNRR, è una certamente grande opportunità per il consolidamento di un’assistenza territoriale efficiente ed efficace, veramente vicina ai cittadini, che non può prescindere dalla collaborazione attiva tra le ASL, i Medici di Medicina Generale, i Pediatri di libera scelta, i Servizi sociali, i rappresentanti istituzionali degli Enti locali, il Terzo settore ed i cittadini stessi, attraverso le loro organizzazioni.
La concretizzazione di questa integrazione socio-sanitaria si può ottenere prevedendo sempre un maggiore coinvolgimento di tutti gli stakeholder, al fine di dare piena applicazione alle normative nazionali e regionali di merito.
Riformare il SSN
Il SINDACATO MEDICI ITALIANI non può e non deve sottrarsi a CONTRIBUIRE a tale processo dio riforma del nostro Sistema Sanitario Nazionale, contribuendo alla riaffermazione del diritto costituzionale alla Salute, intesa come bene comune da salvaguardare e leva fondamentale per un welfare di comunità solidale, per il rilancio economico e del benessere sociale del Paese.La riforma dovrà avere al centro dell’azione la valorizzazione della competenza e della professionalità e la valorizzazione del personale dipendente e convenzionato del SSN, con una reale integrazione socio sanitaria attraverso gli enti locali ed i comuni. Prendersi cura dei cittadini, avere cura dei territori insieme agli enti locali, ed avere a cuore il personale saranno le regole che pervaderanno tutta l’azione del Nuovo Sistema Sanitario Nazionale, pubblico, universale ed accogliente.
Il Capitale Umano
L’altro tema che ci sta fortemente a cuore è la valorizzazione del capitale umano del Sistema Sanitario Nazionale.
Si dovrà dare vita un grande tavolo di concertazione e conciliazione con tutti gli operatori e le loro rappresentanze sindacali.
La valorizzazione del capitale umano deve essere un tema centrale del nuovo SSN.
E’ auspicabile superare l’attuale sistema di contrattazione separata per ogni categoria, fondato su estenuanti trattative, sempre in forte ritardo, mai con una visione globale delle esigenze, per i rinnovi contrattuali, che conducono alla fine a miglioramenti di pochi euro mese, a volte dopo 10 anni, senza progressioni di carriera.
Questo sistema malato e frutto di poca capacità di incisione strategica è la ragione del forte disamoramento dei professionisti medici per il nostro SSN.
Attenzione si dovrà quindi porre alla forbice tra le Regioni, anche per quanto concerne le retribuzioni: analizzando la retribuzione media mensile a livello regionale, si vede che ai 2.294 euro mensili della Provincia autonoma di Bolzano fanno da contraltare i 1.561 euro/mese della Basilicata. Tuttavia, sulla cifra incide moltissimo anche la carenza di personale che lascia spazio alla corresponsione di straordinari, tanto che, ad esempio, in Campania (la Regione con la quota più alta di straordinari, ma anche tra quelle con le maggiori carenze di professionisti) si raggiunge quota 1.760 euro mensili e analogamente nel Lazio (seconda Regione con la quota più elevata di straordinari) di 1.736 euro mensili.
Non è possibile che i convenzionati del SSN, MMG e specialisti, nonché medici della Medicina dei servizi e della continuità assistenziale, continuino a lavorare in assenza totale di garanzie e tutele, senza poter fruire di ferie o malattia per mancanza di sostituzione.
E’ tempo di pensare ad un grande SSN che valorizzi i propri dipendenti e operatori, che tanto hanno dimostrato in senso di attaccamento al lavoro e senso di responsabilità, e non solo durante il COVID.
In questi anni si è attraversato, soprattutto nelle Regioni in piano di rientro, il blocco del turnover, la carenza e l’invecchiamento del personale.
Oggi sempre meno medici vogliono entrare nel SSN. Ormai, per i giovani medici specialisti, lavorare nel Sistema Sanitario pubblico non rappresenta più il massimo delle aspirazioni.
Carriere e stipendi non sono proporzionati all’entità della formazione, dei carichi di lavoro e dei rischi professionali. Con l’applicazione della quota 100 si è vista e si prevede una fuoriuscita di professionisti medici e, soprattutto, infermieri, che metterà in crisi molto seria il sistema, se non si provvederà, in tempi brevi, a colmare le carenze. Il Ministero della Salute, di concerto con il MIUR, ha triplicato i posti nelle scuole di specializzazione, al fine di permettere a tutti i neolaureati di accedere alla formazione specialistica. Ma la situazione è critica anche sul versante universitario. Infatti, le fuoriuscite dei docenti universitari rischiano di inibire la funzionalità delle scuole di specializzazione, con ripercussioni sul versante formativo. I nostri medici migliori, dopo anni di costosa formazione nel pubblico, vengono chiamati dal privato, libero di offrire retribuzioni correlate alle capacità professionali e ai volumi produttivi. Una ricerca promossa da Fiaso nel 2018 ha quantificato nel 35% dei casi le ipotesi di abbandono del lavoro pubblico per prepensionamenti e opzione per il privato. E già nel 2018 un neo specialista su 4 optava per il privato. Altro tema rilevante è l’assenza di sistemi premiali e incentivanti, a causa di distribuzione iniqua dei fondi di risultato, che vanno in proporzione maggiore all’alta dirigenza più che agli operatori. Le retribuzioni finiscono per essere sempre le stesse per tantissimi anni, soprattutto quelle di chi è più esposto allo stress lavoro correlato, per di più con minori possibilità di carriera, vista la contrazione delle strutture a far data dalle indicazioni del Comitato Lea del 2012, cui non è ancora seguita una sufficiente valorizzazione degli incarichi gestionali correlati ai processi. Sarà opportuno ed auspicabile prevedere degli scatti legati all’anzianità di servizio, per tutte le categorie di personale del SSN, sia sanitario che del comparto, che siano significativi dal punto di vista economico. Oggi le progressioni economiche, anche legate ai rinnovi contrattuali, praticamente non aumentano il potere d’acquisto degli stipendi. A questo si aggiunge che le carriere sono sempre meno legate ai meriti ed ai titoli e sempre più legate alla discrezionalità della direzione strategica delle ASL, delle Aziende Sanitarie e dei Policlinici Universitari, con sempre minore capacità di incidere su questi meccanismi da parte delle rappresentanze sindacali di categoria.
E’ sempre più necessario rivedere le norme che regolano il rapporto di esclusività della dirigenza medica ed il vincolo di necessario equilibrio tra attività svolta in istituzionale e attività svolta in regime libero-professionale. E’ indispensabile modificare la cornice normativa che consente anche a chi è in extramoenia la titolarità di una struttura complessa. Altro tema di grande rilievo è il ruolo del personale convenzionato. Il SSN pubblico e universale dovrà essere un polo d’attrazione per la grande massa di personale convenzionato: ai Medici di Medicina Generale, Pediatri di Libera Scelta e Specialisti ambulatoriali dovremmo offrire l’opportunità di lasciare il rapporto convenzionale ed entrare nei ruoli delle Aziende Sanitarie, su base volontaria, per tutti coloro che hanno pochi anni ancora di servizio da svolgere ma che sentono il bisogno di entrare in un meccanismo di tutela e sostegno delle attività, ormai diventate troppo onerose e variegate. Sarebbe auspicabile far diventare automatico l’ingresso alla dipendenza del SSN, per tutti quei MMG e PLS che iniziano adesso la propria attività, stabilendo, ad esempio, che dal 2023 il rapporto di convenzione sarà ad esaurimento. Non è infatti più ammissibile che si continui a parlare di Medici di Famiglia che lavorano poche ore, ignorando il gravoso e purtroppo misconosciuto lavoro sul campo svolto dalle migliaia di MMg nel nostro territorio. E’ necessario superare l’attuale meccanismo di retribuzione secca di ogni attività aggiuntiva ai Medici di Medicina Generale ed ai Pediatri di Libera Scelta e passare ad un sistema in cui si offre l’opportunità di svolgere alcune attività all’interno delle case della Comunità, con il supporto di tutta l’organizzazione aziendale, amministrativa ed infermieristica. Ad esempio le attività vaccinali. Poter effettuare all’interno delle Case della Comunità l’orario di UCP e tutte le attività che comportano un carico ed onere organizzativo, usufruendo del supporto del personale delle Aziende Sanitarie, consentirebbe ai professionisti un immediato sgravio burocratico e gestionale, oltre che la garanzia di una decompressione del carico lavorativo con la possibilità di usufruire di ferie o malattia, senza doversi preoccupare di ricercare la sostituzione, che deve essere garantita dalla ASL. Anche il passaggio ai ruoli della Dirigenza Sanitaria dovrebbe essere consentito da subito, per tutti coloro che volessero cimentarsi nel nuovo modello organizzativo nascente, grazie ai fondi del PNRR, afferendo preventivamente alla formazione prevista, accanto ai dirigenti medici dipendenti di ruolo, che stanno veramente diventando sempre di meno. Infine è richiesta a gran voce, dalla stessa categoria dei MMG, la necessità di trasformazione del corso di formazione specifica in Medicina Generale in una Specializzazione, al pari degli altri Paesi Europei, che dia un titolo equiparabile a quello della neonata specializzazione in Medicina di Comunità e delle Cure Primarie.
A livello europeo e la Commissione Ue sulla situazione italiana scrive che: «Se gli attuali criteri di accesso alla formazione specialistica dovessero rimanere invariati, con l’aumentare dell’età media dei medici italiani negli anni a venire si prevede una carenza significativa di personale, soprattutto in alcune discipline di specializzazione e in medicina generale. L’Italia impiega meno infermieri rispetto a quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale e il loro numero (6,2 per 1 000 abitanti) è inferiore del 25 % alla media UE.».
L’allarme lanciato dai sindacati medici sul futuro degli organici nella professione è focalizzato sulla mancanza, a breve, all’appello di molte migliaia di camici bianchi, soprattutto specialisti e medici di medicina generale che diminuiscono al ritmo di oltre 6mila l’anno per l’insufficiente ricambio e l’assenza di standard che ne indichino la necessaria consistenza numerica.
Anche quello degli infermieri è molto pesante, con le stime della Federazione degli Ordini che parlano di carenze pari a 63mila unità, ma i calcoli ad esempio dell’Università Bocconi superano le 101mila e quelli di Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari, parlano di una carenza di non meno di 80mila professionisti.
Sul Pronto Soccorso poi, l’allarme, oltre quello della valorizzazione (anche economica) delle competenze è più forte dal punto di vista degli organici. La desertificazione degli organici medici e infermieristici nel sistema dell’emergenza, pronto soccorso e 118, è un fenomeno allarmante: «I dati del Centro Studi nazionale Simeu, Società Italiana di Medicina di Emergenza evidenziano la carenza attuale di 4.000 medici e 10.000 infermieri rispetto alle necessità. I concorsi per medici di pronto soccorso e 118 sono andati deserti in tutte le Regioni. Il 50% delle Borse di Studio della Specialità di Medicina di Emergenza Urgenza non sono state assegnate nell’anno accademico 2021/22 per disinteresse dei neolaureati. Il 18% specializzandi nell’anno accademico 2020/21 ha abbandonato il corso di studi. Eppure – conclude – prima della pandemia si calcolavano circa 24.000.000 di ingressi al Pronto Soccorso l’anno (1/3 dell’intera popolazione italiana), ossia un’emergenza ogni 90 secondi, dati che negli ultimi due anni sono cresciuti in modo esponenziale rischiando, in queste condizioni, di non riuscire a garantire la tutela della salute ai cittadini».
L’integrazione socio-sanitaria: stato dell’arte
Il DECRETO 229/99 Art. 3 septies definisce in maniera dettagliata gli elementi essenziali della presa in carico dei cittadini.
PRESTAZIONI SOCIO-SANITARIE: sono tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione.
PRESTAZIONI SANITARIE A RILEVANZA SOCIALE: sono tutte le attività, finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento degli esiti degenerativi ed invalidanti di patologie congenite ed acquisite. Esse sono di competenza delle AA.SS.LL. e a carico delle stesse, inserite in progetti personalizzati di durata medio-lunga e sono erogate in regime ambulatoriale, domiciliare o nell’ambito di strutture residenziali e semiresidenziali.
PRESTAZIONI SOCIALI A RILEVANZA SANITARIA: sono tutte le attività del sistema sociale che hanno l’obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute. Tali attività, di competenza dei Comuni, sono inserite in progetti personalizzati di durata non limitata, sono erogati nelle fasi estensive e lungoassistenziali e sono prestate con partecipazione alla spesa, da parte dei cittadini, stabilita dai Comuni stessi.
PRESTAZIONI SOCIO-SANITARIE AD ELEVATA INTEGRAZIONE SANITARIA: sono caratterizzate “dalla inscindibilità del concorso di più apporti professionali sanitari e sociali nell’ambito del processo personalizzato di assistenza, dalla indivisibilità dell’impatto congiunto degli interventi sanitari e sociali sui risultati dell’assistenza e dalla preminenza dei fattori produttivi sanitari impegnati nell’assistenza” e possono essere erogate in regime ambulatoriale domiciliare o nell’ambito di strutture residenziali e semiresidenziali (rilevanza terapeutica ed intensità della componente sanitaria).
DPCM 14/02/01 “Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie” Determina in modo concreto: La tipologia delle prestazioni ed i criteri della loro classificazione; La definizione delle prestazioni e le fonti normative di riferimento; I principi di programmazione e di organizzazione delle attività; I criteri di finanziamento delle prestazioni per quanto riguarda e compete alle AASSLL ed ai Comuni. Individua: Area materno infantile; Area disabili; Area anziani e persone non autosufficienti con patologie cronico-degenerative; Area patologie psichiatriche; Area dipendenze da droga, alcool e farmaci; Area patologie per infezioni da HIV; Area pazienti terminali.
DPCM 29/11/01: Stabilisce i livelli essenziali di assistenza (LEA) e prevede che, in tale specifica area, il riferimento fondamentale è costituito dall’atto d’indirizzo e coordinamento sull’integrazione socio-sanitaria di cui al DPCM 14/02/01. I LEA sono finanziati con il Fondo Sanitario nazionale trasferito alle Regioni. Le prestazioni sanitarie comprese nei livelli essenziali di assistenza sono garantite dal Servizio Sanitario Nazionale a titolo gratuito o con partecipazione alla spesa da parte dei cittadini. Con i LEA il legislatore ha voluto dar luogo ad un riferimento nazionale omogeneo per l’offerta dei servizi sanitari, in termini quantitativi e qualitativi, in relazione a predeterminate risorse finanziarie, ovvero stabilire cosa e quanto il SSN è in grado di garantire ad ogni assistito, individuando tutte le prestazioni necessarie per garantire l’assistenza territoriale, specialistica, ospedaliera, sociosanitaria e farmaceutica. I livelli essenziali e uniformi di assistenza sono individuati sulla base dei seguenti principi: Dignità della persona umana; Bisogno di salute; Equità nell’accesso all’assistenza; Qualità delle cure.
Le normative sopracitate già indicano:
- il modello di governance integrata tra Distretti sociosanitari, Comuni e Asl;
- il Punto Unico di Accesso alle prestazioni socio-sanitarie, che costituisce il riferimento per l’avvio della presa in carico dei cittadini per i percorsi sanitari, socio-sanitari o sociali appropriati;
- la Valutazione multidimensionale e il Piano di Assistenza Individuale, attraverso i quali, in presenza di bisogni complessi della persona, viene disposto in maniera integrata l’intervento di diversi servizi ed operatori sociali, sanitari e socio-educativi, grazie all’intervento coordinato di un’unità valutativa composta da professionisti di diversi ambiti disciplinari.
Missione 5 e Missione 6: integrazione Socio-Sanitaria
Irrinunciabile e non più rinviabile
Il Distretto come luogo di realizzazione dell’Integrazione su fragili e non autosufficienti
Gli Investimenti 1.1 e 1.2 della Missione 5 rafforzano il lato sociale dell’assistenza sociosanitaria e dovranno agire in maniera sinergica con gli Investimenti 1.1 e 1.2 della Missione 6 (Salute) Componente 1 (Case della Comunità e domiciliarità: rafforzamento del lato sanitario dell’assistenza territoriale).
Inoltre sarà auspicabile la programmazione integrata tra PNRR, Fondi & Piani nazionali sociali (LEPS), Fondo Solidarietà Comunale, Fondi UE (FEAD, REACT, PON Inclusione 2021-2027).
Con le Missioni 5 e 6 del PNRR e con il successivo DM 71 viene finalmente indicata la strada per la piena realizzazione, nel Distretto, dell’Integrazione Socio-Sanitaria.
MISSIONE 5
Inclusione e coesione infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore
Sostegno alle persone vulnerabili e prevenzione dell’istituzionalizzazione degli anziani non autosufficienti
Percorsi di autonomia delle persone con disabilità
Housing temporaneo e Stazioni di posta per le persone senza fissa dimora
Rafforzamento dei servizi sociali domiciliari per garantire la dimissione anticipata assistita e prevenire l’ospedalizzazione (costituzione equipe integrate – strutture per assistenza domiciliare integrata)
Riforma 1.1 – Legge quadro per le disabilità
Riforma 1.2 – Sistema degli interventi in favore degli anziani non autosufficienti
MISSIONE 6
Reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale
Rafforzamento delle prestazioni erogate sul territorio grazie al potenziamento e alla creazione di strutture e presidi territoriali (come le Case della Comunità e gli Ospedali di Comunità), il rafforzamento dell’assistenza domiciliare, lo sviluppo della telemedicina e una più efficace integrazione con tutti i servizi sociosanitari
Particolare attenzione viene data al Punto Unico di Accesso ai servizi sociosanitari, che rappresenta il luogo dell’accoglienza sociosanitaria ed è finalizzato ad avviare percorsi di risposta appropriati alla complessità delle esigenze di tutela della salute della persona, superando la settorializzazione degli interventi, che troppo spesso rende complesso per l’utente l’accesso ai servizi.
Il Punto Unico di Accesso rappresenta una modalità organizzativa di accesso unitario e universalistico ai servizi sociali, sanitari e sociosanitari, rivolta in particolare a coloro che presentano bisogni che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale. Si configura pertanto come il primo contatto a disposizione del cittadino, finalizzato ad attuare pari opportunità d’accesso alle informazioni e ai servizi da parte di coloro che ne abbiano necessità e diritto.
L’attivazione dei Punti Unici di Accesso è stata regolata dalla Regione Lazio con la DGR n. 315 del 2011. Con la legge regionale 11/2016, all’art. 52, al fine di favorire la fruizione da parte degli utenti dei servizi sociali, sociosanitari e sanitari erogati nell’ambito del distretto, è stato disposto l’istituzione di almeno un punto unico di accesso (PUA) in ogni ambito territoriale ottimale, cioè in ogni Distretto socio-sanitario.
Alla luce delle direttive emanate con il PNRR, allo stato attuale si evidenziano ulteriori margini di miglioramento per l’integrazione fra la componente sanitaria e quella sociale e per il potenziamento dei PUA.
È ormai inderogabile, quindi, che i principi già disciplinati dalla normativa trovino concreta e definitiva attuazione.
Nelle Case della Comunità, che si configurano come il nodo strategico, strutturato e di riferimento, in forte connessione funzionale e operativa con tutta la rete sanitaria e sociale del territorio in cui insistono, è prevista tra le funzioni di base la presenza del Punto Unico di Accesso.
Al fine di garantire quanto più possibile la prossimità ai cittadini, si prevede la creazione di una rete in cui, a fianco a una sede distrettuale principale, la Casa della Comunità Hub, siano presenti varie sedi decentrate e di prossimità, Case della Comunità spoke.
Tutti i punti di accoglienza già attivi per l’utenza fragile (segretariati sociali, servizi CAD di ASL, consultori familiari, ecc.), dotati di personale appositamente formato alle funzioni PUA, possono svolgere la funzione di front-office, essendo connessi con il PUA principale, accogliendo l’utenza e procedendo a indirizzarla in maniera appropriata, secondo il modello Hub & Spoke, in cui l’hub si identifica con la funzione del back-office e gli spoke sono i punti che assolvono esclusivamente funzione di front-office.
Nella costituzione del modello organizzativo del PUA, grande rilievo ha la scheda di prevalutazione, che determina la presa in carico globale del cittadino, permette di effettuare una prima analisi e di guidare le prime azioni di orientamento: individuazione del bisogno – semplice e/o complesso, avvio delle procedure per la valutazione multidisciplinare e per i supporti specialistici, nonché le risposte assistenziali immediate e urgenti. La scheda raccoglie un primo gruppo di informazioni anagrafiche, sociorelazionali-ambientali, cliniche, assistenziali, amministrative, propedeutiche alla redazione del fascicolo personale che viene aperto al momento della presa in carico e che diventa la base per lo sviluppo di un linguaggio comune tra le diverse professionalità del settore sociale e di quello sanitario.
Tale scheda è finalizzata a orientare gli operatori nella definizione del bisogno (semplice e/o complesso) e, in caso di individuazione di un bisogno complesso, servirà a determinare la composizione dell’Equipe Multidimensionale, mista tra ASL e Comune, che dovrà valutare l’entità del bisogno per decidere il percorso da intraprendere e i servizi interessati da coinvolgere.
In particolare, nei Distretti socio-sanitari configurati dal PNRR e dal successivo DM 71 sarà indispensabile:
- La stipula della convenzione tra Distretto Sanitario ed ambito sociale (Comune, Municipio, Consorzio di Comuni)
- L’istituzione dell’Ufficio di coordinamento delle attività distrettuali – organismo programmatico cui spetterà il compito di stratificare la popolazione del territorio di riferimento ed analizzarne i bisogni assistenziali
- Istituzione del budget unico di Distretto
- Coinvolgimento, nella redazione del Piano Attuativo Locale, di tutti gli stakeholder territoriali
- Istituzione in ogni Distretto di un osservatorio epidemiologico della popolazione, gestito in collaborazione con i Dipartimenti di Prevenzione, che possa entrare in azione ed essere implementato rapidamente in caso di nuovi eventi pandemici
- L’utilizzo di schede di valutazione multidimensionale omogenee su tutto il territorio Nazionale (SVAMA e SVAMDI)
- Implementazione del Fascicolo Sanitario Elettronico condiviso, attraverso l’attivazione da parte dell’utente della tessera sanitaria, con implicita autorizzazione all’utilizzo dei dati da parte del medico
- Banche dati condivise tra ASL, ambiti sociali, MMG ed altri attori coinvolti nel PAI (Piano Assistenziale Individuale) dell’utente
La Prevenzione
Per affrontare una nuova pandemia ovvero il prosieguo di quella attuale il concetto chiave su cui basare le azioni di programmazione è la “preparedness”. Definizione: La preparedness nelle emergenze di sanità pubblica comprende tutte le attività volte a minimizzare i rischi posti dalle malattie infettive e a mitigare il loro impatto durante una emergenza di sanità pubblica, a prescindere dalla entità dell’evento (locale, regionale, nazionale, internazionale).
Durante una emergenza di sanità pubblica sono richieste capacità di pianificazione, coordinamento, diagnosi tempestiva, valutazione, indagine, risposta e comunicazione.
In tale ambito, a partire da documentazione ufficiale del Ministero della Salute (GU 29/01/2021), si possono fissare alcuni punti, di seguito elencati.
Per programmare le attività di preparedness per emergenze di Sanità Pubblica legate a pandemie vengono elaborati i cd. “Piani Pandemici”, a livello nazionale e regionale, che debbono comprendere le segg. azioni:
- proteggere la popolazione, riducendo il più possibile il potenziale numero di casi e quindi di vittime della pandemia in Italia e nei cittadini italiani che vivono all’estero
- tutelare la salute degli operatori sanitari e del personale coinvolto nell’emergenza
- ridurre l’impatto della pandemia sui servizi sanitari e sociali e assicurare il mantenimento dei servizi essenziali
- preservare il funzionamento della società e le attività economiche.
Per attuare l’obiettivo generale sono previsti poi obiettivi specifici:
- definire ruoli e responsabilità dei diversi soggetti a livello nazionale e regionale per l’attuazione delle misure previste dalla pianificazione e altre eventualmente decise
- fornire strumenti per una pianificazione armonizzata regionale per definire ruoli e responsabilità dei diversi soggetti a livello regionale e locale per l’attuazione delle misure previste dalla pianificazione nazionale e da esigenze specifiche del territorio di riferimento
- sviluppare un ciclo di formazione, monitoraggio e aggiornamento continuo del piano per favorire l’implementazione dello stesso e monitorare l’efficienza degli interventi intrapresi.
Per quanto riguarda la programmazione del territorio, l’esperienza della pandemia Covid-19 ha evidenziato la necessità di intervento sul sistema sanitario territoriale, agendo prioritariamente e in maniera flessibile su aspetti strutturali, quali:
- potenziamento dell’assistenza primaria con l’implementazione dell’operatività delle forme aggregative che operino in maniera coordinata, sinergica ed efficace, favorendo l’assistenza territoriale con particolare riferimento all’assistenza domiciliare;
- potenziamento delle attività delle centrali operative territoriali con funzioni di raccordo con tutti i servizi e con il sistema di emergenza urgenza, anche mediante strumenti informativi e di telemedicina;
- potenziamento dell’attività sia delle unità speciali di continuità assistenziale che operano sul territorio per la presa in carico domiciliare dei pazienti sospetti e diagnosticati che non necessitano di ricovero ospedaliero sia della attuale continuità assistenziale (ruolo unico assistenza primaria a quota oraria) con una concreta integrazione territoriale distrettuale ed un raccordo funzionale con le centrali COT per il completamento della continuità di cura nelle 24 ore.
- potenziamento dei servizi infermieristici sul territorio motivato dall’esigenza, nella fase di emergenza, di supportare l’attività delle unità speciali di continuità assistenziale, nonché di implementare l’assistenza domiciliare per garantire la presa in carico delle persone fragili e non autosufficienti, la cui condizione di vulnerabilità risulta aggravata dall’emergenza e dalla difficoltà di accedere alle ordinarie prestazioni territoriali;
- potenziamento dei dipartimenti di prevenzione e dei servizi territoriali deputati al controllo epidemiologico e alla gestione dei contatti (contact tracing, testing, prescrizioni, sorveglianza).
Per questo ultimo punto, si rinvia alla già citata proposta di istituire presso ogni distretto un Osservatorio Epidemiologico.
Peraltro i Dipartimenti di Prevenzione, che hanno risentito della già citata erosione degli stanziamenti verificatasi negli anni, andrebbero come detto potenziati, per poter far fronte alle molteplici attività ad essi assegnata, ad iniziare dalla tutela della collettività e dei singoli dai rischi infortunistici e sanitari connessi agli ambienti di lavoro.
Infine, un’attività potrebbe essere utilmente svolta nell’ambito delle Case di Comunità previste dal PNRR è la vaccinazione: appositi locali potrebbero essere attrezzati a tale scopo, per consentire sia la vaccinazione anti-Covid che altre, quali la anti-influenzale.
COME DECLINARE QUESTE PREMESSE CON L’ INDISPENSABILE LAVORO REGIONALE SULLA MEDICINA DI FAMIGLIA?
Individuiamo di seguito i passaggi strutturali e procedurali da porre in essere e sui quali Regione Lazio è già fortemente in ritardo:
Riconoscimento delle forme organizzative (UCP) già esistenti le quali offrono risposte sul territorio H9 tutti giorni dal lunedì al venerdì quale fulcro della strutturazione delle costituende AFT, con valorizzazione delle potenzialità già in essere e inserimento in tale sistema di tutti i nuovi medici di famiglia (Ruolo unico a ciclo di scelta) e concreta possibilità di valorizzazione di attività di prevenzione e presa in cura del cronico ,a quota oraria , per i medici di AP , all’ interno delle Case di Comunità, in analogia con quanto già posto in essere per gli Ambulatori di Cure Primarie che al momento estendono l’ attività ambulatoriale sia nei festivi che prefestivi;
Piena integrazione oraria di tutti i professionisti della medicina generale a quota Oraria (Ex CA e MS) con ampliamento orario (strumenti contrattuali già disponibili) e integrazione distrettuale e nelle Case di comunità che solo così potrebbero acquisire un ruolo che non sia quello di cattedrali nel deserto o semplice ristrutturazione onerosa di ambulatori già presenti.
Ciò consentirebbe già da subito di superare la precarietà di centinaia di contratti a tempo determinato nell’ area della convenzionata, (Medicina dei servizi ed anche Continuità assistenziale) in analogia con quanto già parzialmente posto in essere per il settore della emergenza. La legge 502/92 e succ. modifiche consente già alle regioni di porre in essere tali provvedimenti (sia stabilizzazione che passaggio a dipendenza), per tali colleghi.
Integrazione concreta socio sanitaria con UNIFORMI e SEMPLICI modalità di presa in carico del paziente cronico e/o con problematiche socio sanitarie: al momento abbiamo modalità di attivazione di tali percorsi DIFFORMI anche tra DISTRETTI di una stretta azienda, diverse inoltre tra le varie aziende di questa regione, difficili sia per il cittadino che per il medico;
Valorizzazione delle competenze specialistiche del Medico di Medicina generale, con modalità concertate e percorsi di sperimentazione della diagnostica di primo livello che garantisca qualità e congruità medico-legale di tali percorsi.
Concreta quantificazione delle risorse regionali correlate al monte orario contrattuale della medicina convenzionata (Quote di ponderazione, Tetti regionali alle indennità di collaboratore di studio, infermiere etc.). Di tutto ciò, ad horas, nonostante ripetuti solleciti, non vi è stato alcun riscontro da parte della amministrazione regionale, con mancata risoluzione delle numerose pendenze economiche che al momento impegnano la Regione in numerose azioni giudiziarie volte al riconoscimento di aspetti contrattuali ancora non affrontati.
La segreteria Regionale SMI LAZIO
Dicembre 2022
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