di Paolo A. D’Intinosante, Responsabile Nazionale Settore Formazione e Prospettive Sindacato Medici Italiani (SMI)
Roma, 28 2 febb.- Il presidente FNOMCEO pochi giorni fa, ha offerto una fotografia decisamente poco lusinghiera ma molto realistica dello stato attuale del SSN. Riferendosi alla ben nota questione del ricambio generazionale del personale, ci pare evidente aumentare il numero di posti disponibili alla facoltà di medicina non potrà mai rivelarsi una strategia vincente senza la creazione di un ecosistema normativo (e sociale) che renda attrattiva questa scelta.
Non a caso queste parole giungono in un momento in cui il Legislatore ha appena approvato il decreto milleproroghe. Benché accogliamo sicuramente con positività la proroga dei contratti per gli specializzandi, del Decreto Calabria e la stabilizzazione del personale assunto con decreti Covid. Non possiamo che constatare una profonda contraddizione tra la volontà di sanare una strutturale carenza di medici di medicina generale e pediatri di libera scelta e le disposizioni che consentono alle Strutture Sanitarie, a richiesta del professionista, di trattenere in servizio il medico fino al compimento dei 72 anni. Ancora una volta, tragicamente, fatalmente, ci troviamo davanti ad un cerotto utilizzato per tamponare l’emorragia. Cui prodest?
Ci sorprende l’assenza assoluta di criteri che specifichino condizioni di esclusione da questo “beneficio”. Chi lavora sul territorio, come anche chi lo amministra, conosce bene la distribuzione dei servizi e la densità di popolazione. La maggiore attrattività dell’area “metropolitana” influenza necessariamente anche i medici al momento della scelta del territorio al quale dedicare la propria attività professionale. Tutto ciò porta, di conseguenza, ad un più veloce turnover in determinate aree a discapito di quelle più rurali.
Senza criteri precisi c’è il rischio che oltre a rimandare la quiescenza, le disposizioni del decreto milleproroghe possano spingere i giovani colleghi a rimandare ancora di qualche anno la propria scelta in modo da attendere i pensionamenti nella loro area di interesse. Se invece quella stessa area carente fosse già occupata a partire da quest’anno da medici neo-convenzionati, i colleghi in attesa di trovare idonea collocazione sarebbero sicuramente incentivati a dare un orizzonte diverso alla propria attività e contemporaneamente sarebbe disincentivata la “vigile attesa”.
Ci auspichiamo, quindi, che si riescano a trovare i giusti contrappesi ad una misura, che sulla carta potrebbe sembrare una naturale soluzione al problema del ritardo nel processo di avvicendamento, ma potrebbe giungere con effetti collaterali di non poco conto.
Un esempio grossolano potrebbe essere di bandire la carenza a partire dall’anno prima del pensionamento del medico in modo tale da realizzare una situazione in cui, in caso di mancata assegnazione, il pensionamento andrebbe a costituire un effettivo disservizio che potrebbe essere sanato dalla disponibilità del medico a prorogare la propria attività in attesa di un subentro.
Ci pare ovvio, infatti, che unitamente ad una manovra del genere debba adeguarsi anche il meccanismo dell’individuazione delle aree carenti. Seguendo il fil rouge della demotivazione e disincentivazione nei confronti della professione medica (o di alcune branche di essa), la nostra attenzione è stata catturata da un’analisi nella quale Anaao-Assomed riassume i numeri delle borse di specializzazione abbandonate e/o non assegnate negli ultimi due anni (2021-2022).
Conosciamo bene come anche per l’ambiente ospedaliero si assiste alla desertificazione di alcuni reparti o servizi in favore di altri, tuttavia, nonostante i notevoli disagi a cui assistiamo ogni giorno, la soluzione è stata, banalmente aggiungerebbero i malpensanti, aumentare le borse di studio. Ovvero spendere di più non meglio. La risposta, anch’essa banale: non ci sono medici. Parzialmente vero. Però va detto esplicitamente che i medici sono vincolati da contratti che a volte manifestano ma molto più spesso celano incompatibilità anacronistiche o a volte palesemente ingiuste.
Ai medici di medicina generale, ad esempio, non è consentito (a differenza dei dirigenti) di seguire un percorso di formazione specialistico in quanto incompatibile con l’incarico convenzionale.
Noi riteniamo che consentire ai medici di medicina generale di frequentare corsi di specializzazione, ovviamente dopo congruo concorso e con modalità e tempistiche dedicate e attingendo alle borse di studio che non vengono assegnate, sarebbe una fantastica opportunità non solo per arricchire il know-how presente sul territorio ma anche per consentire un continuo scambio di competenze portando in ospedale l’esperienza territoriale e viceversa.
Nella storia la risposta alle grandi crisi è spesso stata la contaminazione delle competenze e delle culture, pertanto ci auspichiamo che le prossime tappe del governo contemplino un programma di ampio respiro per quanto riguarda una profonda riforma della formazione sanitaria che porti il medico al centro del discorso e non la pedissequa osservanza di contratti e apparati burocratici.