È esclusa la responsabilità penale del medico solo nel caso in cui questi abbia osservato effettivamente le indicazioni metodologiche elaborate dalla comunità scientifica. Non può, al contrario, considerarsi corretta, virtuosa, o conforme alle linee guida la condotta del medico che nell’espletamento della propria attività non tenga in considerazione chiari segnali di pericolo per la salute del proprio paziente, a maggior ragione se evidenziati dagli accertamenti; in presenza di tali elementi, qualora il medico non ne percepisca l’effettiva gravità con conseguente danno per il paziente, non si può mai parlare di colpa lieve.
Sono queste le conclusioni a cui giungono gli ermellini della V sezione penale della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 11804 dell’11 marzo scorso, riaffermando il proprio orientamento interpretativo in tema di responsabilità medica alla luce della riforma introdotta dal Dl 158/2012 (Decreto Balduzzi). Ancora una volta sul banco degli imputati vi è una ginecologa accusata del reato di procurato aborto di cui all’articolo 17 della legge 194/1978.
La gestante presentava una gravidanza a rischio a causa del suo stato di ipertensione. Secondo le risultanze evidenziate nelle sentenze delle Corti di merito, la ginecologa non aveva per tempo individuato lo stato ipossico cronico del feto, nonostante ciò fosse evidente dai tracciati Cgt e dagli accertamenti strumentali effettuati (flussimetria) che documentavano una sofferenza fetale.
Inoltre, sempre secondo le corti di merito, l’imputata non consigliava immediatamente alla paziente il parto cesareo, così causando la morte intrauterina del feto per insufficienza placentare acuta e conseguente anossia intrauterina.
L’imputata, tra i propri motivi di ricorso, segnalava di essersi attenuta compiutamente agli schemi diagnostici e terapeutici previsti dall’arte medica, affermando in particolare che le proprie diagnosi si erano sempre rivelate corrette, di aver fatto sottoporre a numerosi accertamenti la paziente e che, se errore c’era stato, esso atteneva esclusivamente «all’adattamento delle direttive di massima alle evenienze del caso concreto». Pertanto la propria condotta non assumeva alcuna rilevanza penale ai sensi dell’articolo 3 della legge 189/2012 (legge di conversione del Decreto Balduzzi).
Sul punto la Corte di Cassazione specificava che, sì, l’articolo 3 della legge 189/2012 «esclude la rilevanza della colpa lieve con riferimento a quelle condotte che abbiano osservato linee guida o pratiche terapeutiche mediche virtuose, purché esse siano accreditate dalla comunità scientifica» (sulla scia dell’orientamento giurisprudenziale tracciato dalla sentenza n. 16237/2013), ma che nel caso di specie, alla luce delle emergenze processuali valutate dalle Corti di merito, tale norma non poteva trovare applicazione e, quindi, esplicare i propri effetti. (Fonte: Il Sole 24Ore Sanità)